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Tutela paesaggistica e tutela archeologica sono distinte

5 Settembre 2022
in APPROFONDIMENTI, ARCHIVI, beni culturali, beni paesaggistici, GOVERNO DEL TERRITORIO, NATURA, NEWS, piani territoriali
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Sovana, Tomba etrusca della Sirena (III-II sec. a. C.)

Pronuncia di sensibile interesse recentemente emanata dal Consiglio di Stato in tema di differenze fra tutela paesaggistica e tutela archeologica (culturale).

La sentenza Cons. Stato, Sez. VI, 4 luglio 2022, n. 5536 ha affermato che “le due tutele, paesaggistica ed archeologica, sono distinte e autonome”, rispondendo a finalità e obiettivi diversi.

Il Giudice amministrativo d’appello ha ricordato che “la legge Galasso ha posto l’accento sulla nozione di «zona», assoggettando a vincolo paesaggistico i territori interessati da presenze di rilevanza archeologica, che vengono tutelati non per la loro facies, bensì per l’attitudine «alla conservazione del contesto di giacenza del patrimonio archeologico nazionale».

 

Viceversa, il vincolo archeologico di cui agli artt. 1 e 3 l. n. 1089 del 1989 presuppone un’intrinseca valenza archeologica del bene su cui viene apposto e ha pertanto ad oggetto diretto il bene e non il territorio su cui esso si trova.

La ratio della tutela configurata dalla legge Galasso è il particolare rapporto col paesaggio di valori archeologici presenti in una determinata zona: pertanto, il vincolo può essere imposto solo ove sussista un idoneo atto di ricognizione da parte degli organi competenti”.

Inoltre, “la presenza di reperti archeologici nella zona autorizza, ai sensi degli artt. 138 ss. cod. beni culturali, la competente commissione provinciale – di cui fa parte il soprintendente per i beni archeologici competente per territorio – a promuove il procedimento impositivo del vincolo. 

La cui tutela costituisce primario interesse pubblico, non recessivo rispetto alle promozione delle fonti d’energia rinnovabile”.

Se l’area riveste interesse archeologico, il suo contesto è tutelato per legge anche sotto il profilo paesaggistico-ambientale (art. 142, comma 1°, lettera m, del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e può costituire oggetto di specifico provvedimento di individuazione di area salvaguardata con il medesimo vincolo paesaggistico (art. 136 e ss. del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), interesse pubblico prevalente anche sugli utilizzi a fini di produzione energetica da fonti rinnovabili.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Tuscia, acquedotto romano

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente,

Consiglio di Stato Sez. VI  n. 5536 del 4 luglio 2022

Beni ambientali. Differenza tra tutela paesaggistica ed archeologica.

La tutela paesaggistica e quella archeologica, sono distinte e autonome.

La legge Galasso ha posto l’accento sulla nozione di «zona», assoggettando a vincolo paesaggistico i territori interessati da presenze di rilevanza archeologica, che vengono tutelati non per la loro facies, bensì per l’attitudine «alla conservazione del contesto di giacenza del patrimonio archeologico nazionale».

Viceversa, il vincolo archeologico di cui agli artt. 1 e 3 l. n. 1089 del 1939 presuppone un’intrinseca valenza archeologica del bene su cui viene apposto e ha pertanto ad oggetto diretto il bene e non il territorio su cui esso si trova.

La presenza di reperti archeologici nella zona autorizza, ai sensi degli artt. 138 ss. cod. beni culturali, la competente commissione provinciale – di cui fa parte il soprintendente per i beni archeologici competente per territorio – a promuove il procedimento impositivo del vincolo, la cui tutela costituisce primario interesse pubblico, non recessivo rispetto alle esigenze di promozione delle fonti d’energia rinnovabile, invocare mediante il richiamo dei principii d’affidamento e proporzionalità.

***************************

05536/2022 REG.PROV.COLL.

09169/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9169 del 2020, proposto da
Cargroup S.S. – Società Agricola, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Vincenzo Ciaffi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cola di Rienzo, n.212;

contro

Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio della Basilicata, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima) n. 530/2020, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 giugno 2022 il Cons. Oreste Mario Caputo;

udito per la parte appellante l’avv. Vincenzo Ciaffi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima) n. 00530/2020 di reiezione del ricorso proposto da Cargroup S.S. Società Agricola avverso il decreto n. 7 del Segretariato Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per la Basilicata – Commissione regionale per il patrimonio culturale, Repertorio 7/2015 del 29/10/2015, con il quale si è disposto che “l’immobile … identificato nel CT del Comune di Bernalda (MT) al foglio di mappa n.102, particelle 11,13,14,15,115,116 e 117 … è ritenuto d’interesse archeologico particolarmente importante e viene dichiarato bene culturale”.

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Nelle premesse dell’atto introduttivo la società ha precisato d’aver impugnato il decreto con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, notificato il 13/6/2016; di aver successivamente ricevuto la notifica del decreto col quale il Presidente della Repubblica ha dichiarato inammissibile il ricorso straordinario stante la natura non definitiva del provvedimento impugnato, riconoscendo gli estremi dell’errore scusabile.

2. Nondimeno, lamenta la società, il TAR con la sentenza appellata ha escluso che “l’invocata rimessione in termini – disposta in sede di ricorso straordinario – possa scriminare anche la decadenza del diritto all’azione già maturata in sede giurisdizionale per l’infruttuoso decorso sin ab origine dei termini di impugnazione del provvedimento”.

In aggiunta i giudici di prime cure, in obiter dictum, hanno adombrato la nullità della procura per difetto dei requisiti di specialità prescritti dall’art. 40, co. 1, lett. g), cod. proc. amm..

3. Appella la sentenza Cargroup S.S. Società Agricola. Resiste il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.

4. Alla pubblica udienza del 16 giugno 2022 la causa, su richiesta delle parti, è trattenuta in decisione.

5. Innanzitutto, in forza del principio di sinteticità degli atti processuali – che al momento della formulazione dell’atto d’appello, ammontante a 57 pagine non aveva ancora acquisito la precettività oramai attribuitogli dall’orientamento giurisprudenziale qui condiviso – va disposto il compendio riassuntivo degli argomenti dedotti nell’atto introduttivo.

6. Con il primo motivo d’appello d’ordine processuale qui rilevante – atteso che la pronuncia sulla regolarità della procura costituisce nell’economia della sentenza appellata mero obiternon suscettibile d’acquisire autorità di giudicato – la società ricorrente lamenta l’errore di giudizio in cui sarebbe incorso il TAR nel dichiarare irricevibile il ricorso nonostante l’espresso riconoscimento dell’errore scusabile e il conseguente diritto alla rimessione in termine per effetto del decreto decisorio del il Presidente della Repubblica, adeguatosi al parere rassegnato dal Consiglio di Stato, sicché vi sarebbe stata errata applicazione dell’art. 6 d..P.R. 1199 del 1971; dell’art. 3 l. 241/1990 e art. 37 d.lgs. 2 luglio 2010 nr. 104.

6.1 Il motivo è fondato.

L’erronea indicazione nell’atto impugnato dei mezzi di gravame contro di esso esperibili, ha inciso in modo determinate sull’intero processo decisionale della ricorrente e sulla sua scelta definitiva di quale, tra tutti i mezzi di impugnazione a sua disposizione, utilizzare quella gerarchica.

Il ricorso straordinario era indicato nell’atto come esperibile.

Sicché la decadenza dal termine di impugnativa di 60 giorni, previsto per il ricorso giurisdizionale, è diretta conseguenza dell’errore scusabile in cui la società è stata indotta dalla errata indicazione (ex art. 3 l.241/90) contenuta nell’atto amministrativo impugnabile.

Proprio in considerazione dell’errata indicazione, in continuità con l’indirizzo giurisprudenziale è stata disposta la rimessione in termini dalla sezione consultiva del Consiglio di Stato (cfr., in termini: qualora l’atto amministrativo impugnato indichi, come richiesto dall’art.3, comma 4, della L. n. 241 del 1990, il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere, ma lo faccia in modo erroneo, l’interessato che lo impugni entro il termine e davanti al giudice indicati incorre in errore scusabile, Cons. Stato, sez. V, 15 luglio2014, n. 3710).

7. Passando ai motivi d’impugnazione, non esaminati dal Tar, riproposti in appello, mette conto precisare, per dovere di sintesi, che, al di là della formulazione della rubrica di ciascuno di essi, le censure ruotano attorno ad un unico asse argomentativo.

Riassumibile nei seguenti termini:

conclusasi favorevolmente la fase procedimentale della conferenza di servizi, ottenuta l’acquisizione di tutti i necessari pareri e nulla osta, rilasciata dalla Regione Basilicata alla CARGROUP l’Autorizzazione Unica Regionale, con determinazione dirigenziale nr. 75AD.2013/D.00950 del 25/11/2013, non residuava alcuna potestà in capo alla Soprintendenza archeologica.

S’assume di conseguenza la plurima e concorrente violazione dell’art. 12 del d.lgs. 387/2003, degli artt. 21 – septies e 21 – octies l. 241 del 1990; carenza di potere; falsa applicazione dell’art. 3 l. 241/90, difetto di motivazione, violazione del principio di proporzionalità.

7.1 I motivi sono infondati.

La relazione allegata al decreto impugnato dà conto che la zona è stata interessata da una serie di ricerche archeologiche comprendenti scavi strategici e indagini di superficie nell’ambito di un vasto programma di ricerca; e che in prossimità del Ponte Fabrizio, nella particella 15 del fog. 102, è stata individuata una di queste fattorie di età greca, oggetto di scavo e di una recente pubblicazione. L’edificio si estendeva per circa mq. 220 lungo il pendio collinare.

Si precisa che in tutta l’area circostante, corrispondente alle particelle indicate (foglio 102 particelle 11, 13, 14 , 115) si è riscontrata inoltre la presenza di emergenze archeologiche e materiale di superficie riconducibili ad almeno una ventina di siti antichi.

Secondo la ricorrente tali emergenze di fatto relative al valore archeologico del compendio immobiliare, sarebbero inconsistenti a fronte “della posizione assunta dalla soprintendenza nel corso della Conferenza dei Servizi, lì dove il delegato Dott. De Siena, allegando il proprio assenso al rilascio dell’Autorizzazione Unica Regionale”.

Sennonché, la ricorrente confonde il vincolo paesaggistico sulle zone di interesse archeologico, istituito direttamente dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 (art. 1, lett. m) che è di tipo ubicazionale e prescinde dall’avvenuto accertamento, in via amministrativa o legale, del loro interesse archeologico.

Le due tutele, paesaggistica ed archeologica, sono distinte e autonome.

Va sottolineato che la legge Galasso ha posto l’accento sulla nozione di «zona», assoggettando a vincolo paesaggistico i territori interessati da presenze di rilevanza archeologica, che vengono tutelati non per la loro facies, bensì per l’attitudine «alla conservazione del contesto di giacenza del patrimonio archeologico nazionale».

Viceversa, il vincolo archeologico di cui agli artt. 1 e 3 l. n. 1089 del 1989 presuppone un’intrinseca valenza archeologica del bene su cui viene apposto e ha pertanto ad oggetto diretto il bene e non il territorio su cui esso si trova.

La ratio della tutela configurata dalla legge Galasso è il particolare rapporto col paesaggio di valori archeologici presenti in una determinata zona: pertanto, il vincolo può essere imposto solo ove sussista un idoneo atto di ricognizione da parte degli organi competenti.

Nel caso in esame la relazione dà conto dell’effettiva presenza sulla zona stessa di reperti archeologici, sì da giustificare la compressione delle facoltà dominicali (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 novembre 2002 n. 5997).

La valutazione (di merito) d’interesse archeologico della zona si sottrae al sindacato di legittimità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 luglio 2002 n. 3967).

La presenza di reperti archeologici nella zona autorizza, ai sensi degli artt. 138 ss. cod. beni culturali, la competente commissione provinciale – di cui fa parte il soprintendente per i beni archeologici competente per territorio – a promuove il procedimento impositivo del vincolo.

La cui tutela costituisce primario interesse pubblico, non recessivo rispetto alle promozione delle fonti d’energia rinnovabile, insistentemente evocata dalla società appellante, mediante il richiamo, in verità generico, dei principii d’affidamento e proporzionalità.

A riguardo va sottolineato che l’art. 9 cost., come novellato, prevede che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.

Il vincolo archeologico, posto al vertice nella gerarchia dei valori storico-culturali, fa dunque oramai parte dei principi fondamentali della Costituzione.

In definitiva, il decreto impugnato non presta il fianco alle censure dedotte nei motivi d’appello.

Nondimeno la sua sopravvenienza rispetto all’autorizzazione unica rilasciata alla società appellante per la produzione d’energia rinnovabile – che, nell’odierno ordinamento, in vista della lotta ai cambiamenti climatici rientra fra le attività di primario interesse nazionale (cfr. d.l. 31 maggio 2021 n. 77) – giustifica, se del caso, il rinnovo o la riapertura del procedimento al fine di conciliare gli interessi pubblici in gioco.

8. Conclusivamente l’appello va accolto in parte e, per l’effetto, in parziale riforma dell’appellata sentenza, si respinge il ricorso nel merito.

9. La natura della controversia ed il parziale accoglimento del ricorso giustificano la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l’effetto, in parziale riforma dell’appellata sentenza, respinge il ricorso nel merito.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2022 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Massimiliano Tarantino, Presidente FF

Alessandro Maggio, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere, Estensore

Stefano Toschei, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Oreste Mario Caputo Luigi Massimiliano Tarantino
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

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depositata in Segreteria il 4 luglio 2022

 (Articolo pubblicato con questo titolo il 4 settembre 2022 sul sito online del Gruppo d’Intervento Giuridico)

 

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