«Un terzo delle terre protette del mondo è sottoposto a un’intensa pressione umana», a rivelarlo è lo studio“One-third of global protected land is under intense human pressure”, definito «uno straordinario controllo della realtà» sugli sforzi per scongiurare una crisi della biodiversità, che è stato appena pubblicato su Scienceda un team di ricercatori dell’università del Queensland , della Wildlife conservation society (Wcs) e dell’università della Northern British Columbia.
Lo studio è un controllo reale di quel che fanno i governi per rispettare gli impegni previsti dalla Convention on Biological Diversity (Cbd) per arrestare la perdita di biodiversità attraverso la creazione di aree protette.
Dal 1992, l’estensione globale delle aree protette è raddoppiata in termini di dimensioni; più di 202.000 coprono oltre il 15% dell’area terrestre mondiale, con un obiettivo di almeno il 17% di copertura entro il 2020.
Per le aree protette create prima della ratifica della Cbd nel 1992, da allora il 55% ha subito aumenti della pressione antropica.
Gli autori avvertono che «gli obiettivi della Cbd saranno gravemente compromessi se all’interno delle aree protette continua una pressione umana diffusa».
La Wcs ricorda che «sebbene gli obiettivi di gestione siano diversi, dalle rigide aree di conservazione della biodiversità alle zone che consentono determinate attività umane e l’estrazione sostenibile delle risorse, l’obiettivo principale di tutte le aree protette è quello di conservare la natura», ma i ricercatori hanno scoperto che «6 milioni di chilometri quadrati di territorio protetto – pari a due terzi delle dimensioni della Cina o il doppio delle dimensioni dello stato di Alaska – sono in uno stato improbabile che conservi la biodiversità in via di estinzione».
Il principale autore dello studio, l’australiano Kendall Jones della School of Earth and Environmental Sciences dell’università del Queensland, ha spiegato che «in alcuni casi l’entità del danno è stata sorprendente, con i maggiori impatti riscontrati in luoghi densamente popolati come l’Asia, l’Europa e l’Africa.
Abbiamo scoperto importanti infrastrutture stradali come autostrade, agricoltura industriale e persino intere città che si trovano all’interno dei confini di luoghi che dovrebbero essere salvaguardati per la conservazione della natura.
Oltre il 90% cento delle aree protette, come i parchi nazionali e le riserve naturali, hanno mostrato alcuni segni di attività umane dannose».
Secondo James Watson, direttore Global conservation program della Wildlife conservation society, «lo studio ha chiaramente dimostrato che le nazioni stanno sovrastimando lo spazio disponibile per la natura all’interno delle aree protette.
I governi sostengono che questi luoghi sono protetti per il bene della natura quando in realtà non lo sono.
È una delle ragioni principali per cui la biodiversità è ancora in declino catastrofico, nonostante un numero sempre maggiore di territori sia stato protetto negli ultimi decenni«».
Per analizzare l’attività antropica in quasi 50.000 aree protette, lo studio ha utilizzato la mappa globale più completa della pressione umana sull’ambiente: la Human Footprint.
I ricercatori dicono che «le grandi aree integralmente protette erano sottoposte ad una pressione umana molto minore rispetto alle aree protette più piccole, dove erano consentite ampie gamme di attività umane».
Ma gli autori dello studio non stanno certo suggerendo che le aree protette dove c’è un’alta pressione antropica vengano abolite, «al contrario – dicono alla Wcs – è fondamentale che le nazioni riconoscano i profondi guadagni della conservazione che possono essere raggiunti aggiornando e ripristinando le aree protette degradate, nel rispetto dei bisogni delle popolazioni locali»
Watson sottolinea che «le aree di protezione del territorio ben finanziate, ben gestite e ben posizionate, sono estremamente efficaci nel bloccare le minacce per la perdita di biodiversità e nel garantire il ritorno delle specie dall’orlo dell’estinzione.
Ci sono anche molte aree protette che sono ancora in buone condizioni e proteggono le ultime roccaforti di specie in via di estinzione in tutto il mondo.
La sfida è garantire che le aree protette che sono più preziose per la conservazione della natura ricevano la maggiore attenzione da parte dei governi e dei donatori per garantirne la salvaguardia».
Le aree protette più colpite dalle attività umani su trovano in Asia, Europa e Africa, in luoghi con enormi popolazioni umane.
Ma ci sono anche buone notizie: «Le aree protette con rigidi obiettivi di conservazione della biodiversità sono soggette a livelli significativamente inferiori di pressione umana» e lo studio ne identifica alcune tra le meno colpite, come il Santuario della fauna selvatica di Keo Seima in Cambogia, il Parco nazionale di Madidi in Bolivia e la Riserva della biosfera di Yasuni in Ecuador.
Jones conclude: «Tutte le nazioni devono essere oneste quando tengono conto di quanto territorio hanno messo da parte la conservazione della biodiversità.
È tempo che la comunità di conservazione globale si alzi in piedi e chieda conto ai governi affinché prendano sul serio la conservazione delle loro aree protette.
La cosa più importante è riconoscere che questi gioielli nella corona hanno bisogno di sostegno: ci sono alcune aree protette che stanno salvaguardando la natura e nelle quali non c’è ancora nessuna evidenza di invasione umana.
Dobbiamo garantire che questi valori siano mantenuti».
https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=3EUIUHXSLEE
(Articolo pubblicato con questo titolo il 18 maggio 2018 sul sito online “greenreport.it”)