Liberi da Ogm è una Campagna di VAS per la difesa dell’agricoltura e della biodiversità, che inizialmente ha visto l’associazione battersi in prima persona contro la Monsanto.
A metà aprile del 2017 la Monsanto è stata condannata per ecocidio dal “Tribunale Internazionale Monsanto” all’Aja, in Olanda, un tribunale d’opinione organizzato dalla società civile che ha condannato la multinazionale per aver distrutto ambiente ed ecosistemi.
La battaglia si è fatta più dura ancora dopo che la Bayer ha soppresso il marchio Monsanto a seguito della sua acquisizione che si è conclusa il 7 giugno 2018 e che per un valore di 66 miliardi di dollari ha dato vita al più grande gruppo mondiale nel campo delle sementi e dei fertilizzanti agricoli.
L’Italia, in quanto Stato membro dell’Unione Europea, ha l’obbligo di recepire le Direttive comunitarie e di ottemperare i Regolamenti: di conseguenza non è possibile limitare l’importazione di prodotti OGM autorizzati a livello europeo né vietarne la coltivazione se non per motivazioni scientificamente supportate.
La penetrazione delle colture geneticamente modificate in Italia è stata comunque fortemente contrastata dai ministri per le politiche agricole e forestali Pecoraro Scanio (nel 2000–2001, Governo Amato II) e Alemanno (dal 2001 al 2006, Governo Berlusconi I e II).
Nel luglio 2013 è stata annunciata la firma di un decreto che proibisce uno dei più diffusi O.G.M., il mais Monsanto 810.
Il decreto, prima della nuova direttiva Ue sugli Ogm che rimanda agli Stati membri il diritto di limitare o vietare le coltivazioni di Ogm, aveva prorogato per 18 mesi il divieto del 12 luglio 2013.
Il 6 febbraio 2015, il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di un agricoltore friulano, Giorgio Fidenato, sostenitore delle colture di mais geneticamente modificato, che chiedeva il permesso di utilizzare questo tipo di sementi.
La sentenza ribadiva il divieto italiano di qualsiasi coltivazione di piante e raccolti OGM.
La vertenza è stata portata avanti alla Corte di giustizia europea, che, decidendo sul ricorso di Fidenato, il 13 settembre 2017 ha pronunciato una sentenza in cui viene censurato come ingiustificato il divieto di coltivazione sancito dal decreto interministeriale del 12 luglio 2013.
Ricordiamo le diverse edizioni del Rapporto sulla Biosicurezza, realizzato in convenzione con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Divisione Protezione Natura), che si prefiggeva di monitorare lo stato di attuazione delle leggi nazionali e regionali in materia di regolamentazione dell’immissione di OGM all’interno della filiera agroalimentare italiana.
Con l’approvazione della Direttiva 412/2015 l’Unione Europea ha declinato alle sue prerogative sulla possibilità di consentire la coltivazione commerciale di piante Ogm a livello comunitario, restituendo tale titolarità agli stati nazionali.
Malgrado 19 stati abbiano recepito tale normativa applicandola per vietare la coltivazione di qualunque pianta Ogm sul loro territorio, le polemiche tra stati non sono cessate: difatti, anche gli stati che vietavano la coltivazione di Ogm (quindi che avevano usato la direttiva per fare un cosiddetto Opt-out), hanno continuato a votare nei vari consessi europei per vietare la coltivazione di Ogm anche negli stati che non avevano attuato l’Opt-out (opzione di uscita) da tale pratica agronomica.
Quindi chi vieta gli Ogm è libero di vietare, ma chi vorrebbe coltivarli non lo può fare: una evidente limitazione delle libertà ed autonomie nazionali.
Ricordiamo anche e soprattutto le battaglie attuali contro il glisofato e gli accordi di libero scambio T.T.I.P. (Transatlantic trade and investment partnership) e C.E.T.A. (Comprehensive economic and trade agreement Ue – Canada).
VAS continua a battersi ancora oggi contro tutti quei prodotti ed iniziative che vorrebbero legittimare in Italia l’utilizzo di organismi geneticamente modificati.
La Corte Europea di Giustizia il 25 luglio 2018 ha emesso una complessa e tribolata sentenza innescata da alcune organizzazioni agricole francesi ostili all’uso degli Ogm.
La questione trasmessa alla Corte dal competente Ministero francese, riguardava una pianta di colza resistente all’erbicida glifosate.
Pur essendo frutto di mutagenesi, questo tipo di mutazione agli occhi dei ricorrenti apriva la strada alla legittimazione della tecnologia del Genome editing che attraverso varie tecniche (oligonucleotidi, TALEN, Zinc Finger e soprattutto CRISPR/Cas9) imita alla perfezione gli eventi di mutagenesi spontanea o indotta da mutageni fisici o chimici, senza dover introdurre DNA esogeno.
La Corte ha sentenziato che tutte le volte che l’uomo agisce sul patrimonio genetico vegetale genera un Ogm.
Quindi sono Ogm sia le piante nate sin dal 1953 da mutagenesi (in genere dopo irraggiamento con raggi gamma, tipicamente cobalto 60), sia i classici Ogm pensati e commercializzati dalla metà degli anni ’90 del secolo scorso, sia le tecnologie del Genome editing nate dopo il 2012 dalle intuizioni della microbiologa francese Emmanuelle Charpentier e della biochimica statunitense Jennifer Doudna, premiate a dicembre 2020 col Nobel per la Chimica proprio per questa tecnologia che impiega la tecnologia del CRISPR/Cas.
La sola differenza tra i tre sistemi di modifica del patrimonio genetico vegetale è che la mutagenesi chimica e fisica non deve inizialmente rispettare la direttiva 18/2001 sugli Ogm a meno che non ci sia un qualsiasi stato europeo che lo richieda. Tale sentenza se da un lato condanna il genome editing al confinamento della normativa sugli Ogm pensata un decennio prima che CRISPR si diffondesse nel mondo, dall’altro genera due paradossi che impongono al legislatore europeo di rivedere l’intera disciplina.
Difatti la stessa identica pianta potrebbe essere regolamentata in tre modi diversi a seconda della sua origina, ma senza che esistano modi per distinguerle tra loro.
La stessa identica pianta, immaginiamo proprio quella colza resistente all’azione del diserbante glifosate, potrebbe nascere da un evento spontaneo casuale, da un esperimento di mutagenesi con radiazioni ionizzanti o da una correzione attuata mediante CRISPR. Ma sequenziando l’intero DNA vegetale non vi sarebbe alcuna differenza che consenta di risalire alla sorgente della variazione genetica. Un qualunque organo ispettivo non saprebbe come considerare un simile campione vegetale.
Inoltre si verifica il fatto che tantissime delle piante coltivate anche in agricoltura biologica derivano direttamente o sono incrociate con una delle 3364 piante nate da mutagenesi chimica o fisica e commercializzate da quasi settanta anni tra cui il nostro grano duro Creso con cui facciamo la pasta da quarant’anni.
Si genera così l’incongruenza che si coltivano da decenni in agricoltura biologica piante ora definite Ogm dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea.
E quando tutto è Ogm, nulla più è Ogm.
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