Su questo stesso sito, che è anche un blog, il 29 agosto 2021 è stato pubblicato un articolo dal titolo “Immobili con vincolo paesaggistico, sì al cambio della sagoma”, che riportava il seguente commento critico del dott. arch. Rodolfo Bosi di VAS: «I chiarimenti forniti dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici non hanno comunque valenza giuridica e danno una “interpretazione” del tutto contraddittoria e soprattutto in violazione di quanto prescrive in modo inequivoco l’ultimo periodo della lettera d) del 1° comma dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, ai sensi del quale – in caso di immobili vincolati sia come “beni culturali” che come “beni paesaggistici” – “gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.
Nel rispetto della suddetta disposizione, in caso di presentazione di progetti in zone vincolate con demolizione e ricostruzione con diversa sagoma le Soprintendenze competenti per territorio dovranno esprimere sempre un parere vincolante negativo e le Regioni o i Comuni subdelegati non potranno rilasciare “autorizzazioni paesaggistiche». (vedi https://www.vasroma.it/immobili-con-vincolo-paesaggistico-si-al-cambio-della-sagoma/)
Al suddetto giudizio ha voluto fare il seguente commento l’arch. Enrico Gobbo:
«Arch. Bosi,
In primis va sottolineato che la possibilità di intervenire mediante demolizione e ricostruzione non è preclusa a prescindere per qualsiasi immobile ricadente in area di vincolo paesaggistico; lo è semmai laddove la normativa urbanistica vigente non preveda interventi di nuova costruzione nella predetta area, per cui “l’invito” alle Soprintendenze ed alle Amministrazioni a dissentire tali interventi è inattuabile. Inoltre, dovrebbe valutare che le aree soggette a vincolo paesaggistico in Italia sono dense di immobili privi di qualunque qualità architettonica, risalenti spesso agli anni ‘60/‘70/‘80 quando tali vincoli non erano in vigore o lo erano solo in parte; questi manufatti deturpano il paesaggio e, in assenza della concessione a procedere con interventi di Nuova Costruzione, dovrebbero essere mantenuti identici per sagoma prospetto e sedime. Il paradosso è quindi una sorta di vincolo avverso, finalizzato al mantenimento di edifici BRUTTI per un intricato ed immotivato sovrapposto normativo.
Al contrario, ben venga un’apertura a procedere come stabilito dai Lavori pubblici perché proprio le aree soggette a vincolo paesaggistico, per il loro pregio e la loro bellezza, devono essere incentivate alla rigenerazione attraverso interventi di qualità e sostenibili economicamente per i committenti. Ciò non lede in alcun modo la tutela del Paesaggio, garantita a norma di Legge dalle Soprintendenze che detengono comunque discrezionalità ed autonomia nell’espressione di parere vincolante caso per caso.»
Il dott. arch. Rodolfo Bosi ritiene doveroso portare la seguente replica:
«Egregio arch. Enrico Gobbo,
le sottolineo in primis che “la possibilità di intervenire mediante demolizione e ricostruzione non è preclusa a prescindere per qualsiasi immobile ricadente in area di vincolo paesaggistico”, ma è consentita solo a condizione che venga rispettata, nella predetta ricostruzione, la sagoma del preesistente edificio: lo ha chiarito la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 32899 del 20 aprile-6 luglio 2017.
Secondo i giudici supremi, è possibile dichiarare come ristrutturazione edilizia l’intervento di ripristino o ricostruzione di un edificio o di parte di esso, eventualmente crollato o demolito, anche in caso di modifica della sagoma dello stesso ove insistente su “zona non vincolata”, a condizione che sussista la possibilità di accertarne, in base a riscontri documentali o altri elementi certi e verificabili, la preesistente consistenza.
Agli interventi eseguiti invece in “zona vincolata”, perché possa applicarsi il regime semplificato della Scia oltre ad accertare l’esistenza dei connotati essenziali dell’edificio preesistente – pareti, solai, tetti – oppure, in alternativa, la preesistente consistenza dell’immobile in base a riscontri documentali, è necessario verificare sempre anche il rispetto della sagoma della precedente struttura.
Pertanto, gli interventi di demolizione e ricostruzione o di ripristino degli edifici o parti di essi crollati o demoliti, debbono ritenersi assoggettati a permesso di costruire ove non sia possibile accertare la preesistente volumetria delle opere che, qualora ricadano in zona paesaggisticamente vincolata, hanno l’obbligo di rispettare anche la precedente sagoma.
A queste condizioni sono attuabili tutte le rigenerazioni urbane da lei auspicate: ne deriva che “l’invito” alle Soprintendenze ed alle Amministrazioni a dissentire tali interventi è quindi anch’esso del tutto attuabile.
Per quanto riguarda poi “le aree soggette a vincolo paesaggistico in Italia .. dense di immobili privi di qualunque qualità architettonica, risalenti spesso agli anni ‘60/‘70/‘80 quando tali vincoli non erano in vigore o lo erano solo in parte” per cui a suo giudizio “questi manufatti deturpano il paesaggio”, mi permetto di farle notare che l’art. 136 del “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” riguarda soprattutto le aree già indicate dalla legge n. 1497/1939, che costituiscono (lettera d) “le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”.
Anche le lettere a) e b) dell’art. 136 riguardano sostanzialmente aree relative alle bellezze del paesaggio, che sono di tipo naturale (bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi compresi gli alberi monumentali) o artificiale (ville, i giardini e i parchi).
Si tratta di aree su cui possono insistere eventualmente immobili che possono essere anche “privi di qualunque qualità architettonica”, ma che nel loro insieme costituiscono parte del complesso paesaggistico di cui è stata voluta vincolare la bellezza nel suo insieme, per cui a deturpare questi tipi di paesaggio (ed a lederne comunque la tutela) sarebbero proprio eventuali interventi di rigenerazione urbana con diversa sagoma, prospetto e sedime, dal momento che si verrebbero ad alterare irreversibilmente alcuni degli elementi che compongono nel loro insieme questi tipi di paesaggio.
Solo la lettera c) dell’art. 136 è riferita ai “complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici”: anche qui ad essere soggetto ad un vincolo paesaggistico e non culturale (riferito a costruzioni di valore architettonico o storico-monumentale) è il complesso di più edifici riferiti anche ai centri ed ai nuclei storici che possono comprendere benissimo anche “immobili privi di qualunque qualità architettonica, risalenti spesso agli anni ‘60/‘70/‘80”, che si sono voluti tutelare – ripeto – nel loro complesso e non nella loro individualità.
A suo giudizio “le aree soggette a vincolo paesaggistico, per il loro pregio e la loro bellezza, devono essere incentivate alla rigenerazione attraverso interventi di qualità e sostenibili economicamente per i committenti”: alle condizioni sopra dette non possono essere esclusi i suddetti interventi.
In conclusione mi sento di dissentire dal suo intervento perché antepone edifici architettonici (per giunta ritenuti “BRUTTI”) al vincolo paesaggistico riferito invece a “complessi di immobili” di cui sembra ignorare il valore nel loro insieme e le ragioni per cui sono stati a suo tempo imposti.
Distinti saluti.
Dott. Arch. Rodolfo Bosi»
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N.B. – Innestare architettura contemporanea nei centri storici d’Italia non risulta vietato dalle norme (vedi Ara Pacis a Roma), ma a condizione che si realizzi su aree inedificate e pianificate dal Comune e non a seguito di demolizione e ricostruzione a piacimento del privato con diversa sagoma, prospetti ed aumento delle cubature di edifici magari storici in zona “A” di P.R.G. comunque vincolati proprio dalla lettera d) del 1° comma dell’art. 3 del D.P.R. 380/2001 (emendamento De Petris).
In considerazione che le soprintendenze competenti dovranno sempre esprimere un parere vincolante, limitare a prescindere la portata degli interventi previsti dal superbonus, a tutti i casi sottoposti a vincoli, è una determinazione poco rispettosa del ruolo delle stesse soprintendenze e ingiustificatamente discriminante per i cittadini.