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Scuola di territorio al tempo del Coronavirus – Origine dei nomi dei luoghi e delle vie di Roma Nord: via del Casale della Castelluccia

27 Marzo 2020
in APPROFONDIMENTI, ARCHIVI, beni culturali, Comune di Roma, GOVERNO DEL TERRITORIO, Municipio di Roma XV, NATURA, NEWS, piani territoriali
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VIA DEL CASALE DELLA CASTELLUCCIA

Via del Casale della Castelluccia è una traversa di via Trionfale che va a congiungersi con via Maria Domenica Buun Barbantini, traversa a sua volta di via della Torre di Spizzichino che attraverso via della torre delle Cornacchie sbuca sulla Cassia.

Origine del toponimo – La Via Cassia fu un’importante strada consolare che congiungeva Roma con Florentia: era infatti una via militare e politica di prim’ordine.

La strada risultava essere l’asse di penetrazione e di percorso di tutta l’Etruria suburbana: ne consegue la presenza di numerose stazioni di posta, utili alla sosta delle carrozze, e torri d’avvistamento.

Proprio al castello-casale costruito addosso ad una di queste torri, si deve il nome di questa località, che si trova su di una collina distante circa 1.500 metri dal Km. 13 della Cassia, sulla sinistra uscendo da Roma.

MEMORIE STORICHE

La località Castelluccia prende il nome dal casale-castello costruito addosso alla torre: l’insediamento deve avere avuto origine già nel XII secolo, con la costruzione della torre che è stata posta a controllo della Cassia e della Trionfale e che poteva comunicare con il primo tratto suburbano della via Aurelia tramite le torrette intermedie di Torre Spaccata, Palmarola Vecchia, Torre Vecchia ed Acquafredda.

Il 30 aprile 1368 Coluccia, figlia del defunto Buzio di Lello Muti, vendette a Nicolò Tonucci due terzi della quarta parte del casale “quod vocatur Castellutia”: le altre parti del casale spettavano alle famiglie Muti e Cenci.

Il 15 febbraio 1379 Paolo di Cecco di Alessio Cenci ha dato come pegno di dote a Tebaldo Talgenti ed alla figlia Annicella, sua sposa, la quarta parte della Castelluccia: un altro quarto spettava a Lello di Alessio Cenci.

Nel 1401 una parte della tenuta risultava di proprietà di Francesco ed un’altra parte di Lello di Alessio Cenci.

Successivamente buona parte della tenuta passò ai Del Bufalo Cancellieri, che costruirono il “Burnus Novus”, un piccolo centro abitato che per le sue ridotte dimensioni rispetto ai tradizionali castelli prende il nome di Castelluccia.

Il 3 novembre 1426 Iacobo di fu Stefano Cancellieri obbligò tre quarti del casale di “Castelluzza” a Sofia di fu Colla Giovanni di Saba Gocii de Insula, vedova di Lorenzo di Cecco Palazzi de Pappazuris e madre e tutrice di Altadonna, futura moglie di Iacobo Cancellieri: l’altro quarto spettava all’epoca agli eredi dei defunti Francesco e Giovanni di Pietro Cenci.

Il 23 gennaio 1512 Bernardino di fu Francesco Del Bufalo Cancellieri, con il consenso del fratello Battista, vendette a Domenico Massimi il casale e la tenuta volgarmente detta “la Castelluzza” per 5.600 ducati.

Nel 1566 la Castelluccia risultava di proprietà degli eredi di monsignor Giovanni da Nepi.

All’inizio del 1600 il casale ed i terreni appartenevano a Giovanni Celso, che operò una parziale riconversione dei terreni da pascoli a frutteti e vigneti.

Ma poi casale e tenuta sono entrati a far parte dei beni della famiglia Giustiniani a cui si deve il nome, ancora oggi usato, della zona: La Giustiniana.

Stemma della famiglia Giustiniani

I Diari di Roma alla data del 13 ottobre 1704 riferiscono che il principe Livio Odescalchi aveva comprato anni prima con “patto redimendi” la tenuta Castelluccia dal conte Montemarte per 19.000 scudi.

“Ritratto di Livio Odescalchi“, opera di Jacob Ferdinand Voet, olio su tela, c. 1676–77, 75×60.5 cm (Walters Art Museum, Baltimora, Stati Uniti d’America)

La tenuta stessa fu però assegnata all’eredità del cardinale Azzolini, creditore del principe Odescalchi per il prezzo di mobili che erano stati della regina di Svezia e che aveva comprato.

Ma nel frattempo il conte Montemarte aveva venduto la medesima tenuta di Castelluccia alla duchessa Rospigliosi per una maggiore somma di denaro: avvalendosi del diritto riconosciutogli nel contratto, il conte riacquistò la tenuta del principe Odescalchi, consegnandogli una cedola del Monte di Pietà.

Quando però il principe Odescalchi andò a riscuotere la cedola, gli fu detto che la somma era stata sequestrata ad istanza degli eredi del cardinale Azzolini, suoi creditori.

Alla fine del 1852 la tenuta è stata acquistata dalla famiglia Boncompagni.

Alla fine dell’Ottocento la Tenuta constava di 298 ettari mentre la zona risulta come deserta: gli unici insediamenti esistenti erano costituiti dai casali alcuni dei quali in evidente stato di abbandono.

Tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 la tenuta è stata acquistata dal tenore Francesco Marconi.

L’unificazione del Regno d’Italia e il conseguente postamento a Roma del titolo di Capitale funge da innesco per lo sviluppo e la trasformazione dell’Agro Romano.

A partire dalla prima legge del 1878 e fino ad arrivare al Regio Decreto 52 del 23 Gennaio 1921, è un susseguirsi di interventi legislativi inerenti la trasformazione fondiaria e il miglioramento delle condizioni di vita nelle campagne.

La bonifica dell’Agro viene dichiarata di pubblica utilità, al fine di provvedere al miglioramento igienico della città e della sua cintura verde che, nel 1922, misura 200.000 ettari: viene incentivata la zootecnia a discapito della masserizia che non prevede una stabulazione fissa del bestiame, le tecniche colturali a indirizzo cerealicolo-foraggiero sono implementate, così come gli orti e i giardini nelle parti più prossime al centro della città.

Viene infine fortemente sostenuto, sia con agevolazioni fiscali e sussidi,sia con la minaccia dell’esproprio da parte dello Stato ai danni dei proprietari inadempienti, l’appoderamento spontaneo dei grossi latifondi, da eseguirsi attraverso la suddivisione in lotti di 10-15 ettari, con la costituzione dei cosiddetti Centri di Colonizzazione, complessi di costruzioni strumentali all’attività agricola,ivi comprese quelle residenziali: è così che i proprietari della Tenuta negli anni Venti, che nel frattempo si è ingrandita allargandosi verso sud ovest, oltre la zona cosiddetta di Palmarola, frazionano 10 compendi di circa 10 ettari, nei quali sono costruite delle case coloniche, e contestualmente inizia l’edificazione di un più grande complesso agricolo, con abitazioni, granai ed edifici vari, ribattezzato appunto Il Centro.

Nel 1930 il complesso fu di proprietà del conte Ettore Manzolini, che ne fece una tenuta modello: i resti del vecchio borgo, annesso alla torre medievale, furono restaurati e destinati a residenza di famiglia con la costruzione di una cappella e la ristrutturazione del parco, con i giardini ed i terrazzamenti a logge ricche di aranceti.

A ridosso del casale, nel 1930 il conte Manzolini fece costruire in tufi e mattoni un fienile che fa parte di un complesso noto con il nome delle “Fornaci”: ne fanno infatti parte un fontanile, un casale a due piani a forma di barcone, alcune cantine e la fornace, la cui canna fumaria a tronco di cono, alta 8 metri, è visibile dalla vicina linea ferroviaria San Pietro-La Storta.

Silos ai bordi di via del casale della Castelluccia

La fornace fu fatta costruire dal conte Manzolini, amante di botanica, per la serra e per la messa a dimora di piante tropicali, alcune delle quali ancora presenti.

Della serra, oltre alla canna fumaria, resta tutto il basamento in muratura ed alcune inferriate.

Il fienile è stato poi restaurato nel 1991 e trasformato in un maneggio al coperto.

Il quotidiano “Il Messaggero” del 17 aprile 1932 ha dato notizia di una visita compiuta dal capo del governo Benito Mussolini alla tenuta “Castelluccia alla Storta, avente una superficie di 526 ettari, di cui 401 sistemati a coltivazione, con 25 abitazioni per famiglie coloniche, oltre alla sede per la direzione dell’Azienda ad ai locali di ricovero per il personale avventizio. Le stalle hanno una capacità per 280 capi grossi”.

Dagli anni Settanta la Tenuta La Castelluccia appartiene alla famiglia Di Muzio.

L’attività agricola continua ad essere esercitata sugli oltre trecento ettari di superficie, il Centro è stato parzialmente riconvertito nel rispetto dei caratteri identitari dell’architettura rurale, ospitando abitazioni, ufci, oltre a servizi quali un asilo nido, il punto vendita dei prodotti aziendali e un campo pratica golf.

La Tenuta La Castelluccia rimane quindi ancora oggi una polarità socio-culturale dell’intero quadrante nord di Roma.

IL CASALE-CASTELLO

La torre, databile tra i secoli XII e XIII, è inclusa in un grande casale del XVI secolo, oggi alquanto restaurato.

La robusta base, a sperone, è in blocchetti di selce, frammenti marmorei e filari di mattoni: vi sono ancora finestre rettangolari e vari ordini di fori per le travature, che scandiscono esternamente la successione dei piani, mentre nulla rimane dell’antemurale in selce che fu visto dal Tomassetti agli inizi del 1900.

Il casale-castello è stato costruito sulle vestigia di una villa romana di età imperiale tra il XII e il XIII dalla nobile famiglia Cancellieri.

Il Castello è sempre appartenuto a nobili famiglie che hanno lasciato nel corso dei secoli profonde tracce del loro passaggio e visitato da illustri personaggi tra i quali Papa Pio VII e la Regina Cristina di Svezia.

Il casale della Castelluccia è diventato sede di meetings, nazionali ed internazionali, mostre e defilée di moda, oltre che di matrimoni.

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

 

 

 

 

 

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