Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
L’assuefazione, ecco quello di cui stiamo soffrendo nell’epoca “climatico-planetaria”.
Anche in montagna ci stiamo abituando alla “bruttezza”.
Continua a sconvolgermi l’arrivare con la navetta alle pendici delle Tre Cime di Lavaredo (una delle nove aree dolomitiche considerate Patrimonio dell’Umanità) e scoprire un immenso parcheggio a più di 2000 metri.
Probabilmente sono io che sono fuori posto nel turbarmi con questi pensieri.
Fosse per me, autorizzerei l’accesso a tali luoghi “solo” con navette in partenza dai paesi delle valli limitrofe e porrei un divieto di sosta permanente in tutta l’area, consentendo il transito delle auto solo sulla strada statale per passare dalla Val Pusteria ad Auronzo.
Oltre alla “bruttezza” a cui ci siamo assuefatti ci sono i “danni irreversibili” al fragile “equilibrio idrogeologico” delle Dolomiti, diventati anch’essi “normali”.
E poi ci sono le Olimpiadi a Cortina: ma ne avevamo proprio bisogno?
L’esito favorevole della candidatura per le Olimpiadi Invernali del 2026 a Milano-Cortina è stato salutato con un entusiasmo da stadio dai promotori, cioè da tutta la partitocrazia locale e nazionale.
Quell’immagine di politici esultanti per uno “scempio ambientale annunciato” è metafora dell’inconsapevolezza ecologica da parte di tutti gli esponenti della cosiddetta “democrazia rappresentativa”.
Ma, cari amici ambientalisti, mettiamoci il cuore in pace perché tutto il percorso che conduce a quell’esultanza per uno “scempio ambientale annunciato” e per la “devastazione di un territorio Patrimonio dell’Umanità” si sta svolgendo secondo le regole della “democrazia rappresentativa”: coloro che hanno ricevuto il mandato dagli elettori lo esercitano.
Ma un problema lo sollevo comunque: il mandato elettorale, nei tempi geologico-climatici che stiamo soffrendo, non può essere un mandato “omnibus”, che vale per tutto.
La complessa articolazione tra poteri e diritti, su questioni rilevanti come “l’ambiente” e il “consumo di risorse naturali”, impone dei limiti all’esercizio assoluto del mandato elettorale.
Sulle conseguenze irreversibili dell’olimpico scempio ambientale in un’area considerata Patrimonio dell’Umanità, e quindi che appartiene a tutti noi, non c’è stata nessuna vera discussione, nessun autentico confronto: la vera democrazia è stata sospesa e ha prevalso l’iter della democrazia rappresentativa.
Non si è potuto obiettare e informare la popolazione e gli elettori sulla manomissione, frammentazione e riduzione di 40 ettari di boschi e prati con il loro prezioso carico di vita geologica, animale e vegetale, sulla modifica meccanica ed erosiva delle pendenze rocciose con l’aumento del rischio di valanghe e di frane, sull’occupazione ridondante di strade di accesso alle piste e di impianti che frammentano il già precario habitat degli animali che lì ci vivono da un bel po’ prima di noi.
Il percorso della “democrazia rappresentativa” è stato suggellato da una sorta di “silenzio-assenso” da parte di enti preposti alla tutela dei valori geomorfologici e antropologici della montagna dolomitica, i quali si sono fatti bastare le rassicurazioni “green washing” di organizzatori e politici che hanno replicato il “modello urbano-veneto” del “piano casa”, una sorta di “ristrutturazione con ampliamento in ettari e in artificializzazioni” delle preesistenti opere infrastrutturali e sportive legate all’attività dello sci.
È andata in scena una gigantesca opera di camuffamento della devastazione in atto, coperta dal linguaggio della propaganda che campeggia sugli autobus dolomitici: “take care of our planet”.
Gli esponenti della cosiddetta “democrazia rappresentativa” hanno deciso, con colpevole arroganza, di “usare” il palcoscenico dolomitico” per organizzare un evento sportivo mondiale, con tutti gli annessi pesanti parametri logistico-sportivi da rispettare e richiesti dal CIO per un evento planetario.
Dinanzi all’arroganza degli esponenti della cosiddetta democrazia rappresentativa come può la Fondazione Dolomiti Unesco dichiarare: “il dossier di candidatura ha identificato nella sostenibilità ambientale uno dei pilastri fondativi”.
Come può la Fondazione Dolomiti Unesco dichiarare: “il dossier di candidatura valorizza la presenza del Patrimonio Mondiale Dolomiti Unesco”.
Ma scherziamo!
La montagna dolomitica, al punto della sua storia geologico-antropocentrica, si valorizza fermando “nuove artificializzazioni” e fermando la sua “trasformazione in un parco divertimenti”, olimpici e non solo.
La Fondazione Dolomiti Unesco ha rinunciato a esprimere in forma netta, come prima forma di dissenso, di resistenza, di disobbedienza civile, la propria totale e incondizionata “contrarietà” finendo, di fatto, nel condividere con il potere politico la paternità dello scempio.
La Fondazione Dolomiti Unesco avrebbe dovuto fare quello che ha fatto Slow Food che ha deciso di rifiutare qualsiasi coinvolgimento formale nel vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari perché il summit non metteva in discussione un modello di agricoltura industriale, intensiva, in mano alle grandi corporazioni, aderendo alla mobilitazione per sfidare quel summit sui sistemi alimentari delle Nazioni Unite e per rivendicare la sovranità dei popoli sui sistemi alimentari.
Due modi diversi di intendere il proprio ruolo e le proprie responsabilità.
Difendere con tutte le proprie forze il valore identitario, antropologico ed ambientale dei luoghi di cui si è espressione costituisce il primo passo ineludibile per raggiungere e far maturare quella “consapevolezza ambientale” tra la gente comune e che non alberga negli esponenti della democrazia rappresentativa.
Se è questo il livello di protezione di un’area Patrimonio dell’Umanità che la Fondazione Dolomiti Unesco sa esercitare è sempre tardi procedere alla sua abolizione.
Ovviamente su quel dissenso gridato ai nuovi barbari contemporanei va poi costruita un’idea di montagna da sostenere e diffondere.
Una fruizione della montagna che parta dal godimento ludico ed estetico della sua bellezza e da buona occupazione che limiti lo spopolamento e l’isolamento basata su un’economia turistica che duri 12 mesi, sul lavoro a distanza, su un’economia agricola dei prodotti tipici di alta montagna, su un’economia selvicolturale e artigianale che non consideri, nel tempo dei cambiamenti climatici, la legna degli alberi una fonte di energia rinnovabile.
Nazioni che non hanno la fortuna di possedere nel proprio territorio un bene patrimonio dell’Umanità hanno sottoposto a referendum la candidatura ad ospitare le Olimpiadi del 2026.
Nel 2017 Innsbruck ha detto no con il 53% di voti contrari.
Nel 2018 gli elettori del Cantone Svizzero Vallese hanno detto no con il 54% di voti contrari e il voto contrario del 60,9% dei cittadini di Sion.
Nel 2018 il 56,4% degli abitanti di Calgary ha detto no alla candidatura delle Olimpiadi del 2026 dopo che la città aveva già ospitato le Olimpiadi nel 1988.
Gli effetti irreversibili anche a lungo termine sul fragile equilibrio idrogeologico sono stati ignorati dagli esponenti della “democrazia rappresentativa” e purtroppo anche dalla Fondazione Dolomiti Unesco.
È triste constatare come quella parte del miliardo stanziato dal governo nazionale che verrà utilizzata per le infrastrutture stradali e sportive legate all’evento olimpico a Cortina, di fatto, sottrae denaro pubblico alla lotta al dissesto idrogeologico: anzi lo alimenta.
Vengono così sottratti soldi pubblici alla lotta al dissesto idrogeologico e alla medicazione ambientale delle conseguenze degli eventi calamitosi sempre più ricorrenti dovuti ai cambiamenti climatici e di cui, come “homo sapiens “, siamo responsabili.
Il fenomeno dello spopolamento della montagna non può dipendere da eventi “panem et circenses una tantum” che consumano le sue risorse naturali e distruggono la sua bellezza fruibile in qualsiasi periodo dell’anno.
Questa scellerata concezione del suolo, come spazio inutile da riempire di qualcosa per far divertire il popolo, è frutto di un modesto bagaglio culturale e scientifico, proprio di esponenti politici mediocri e di una politica mediocre. Sui costi ambientali ed economici delle Olimpiadi in un area Patrimonio dell’Umanità deve essere garantita la possibilità di riflettere sui pro e sui contro, come hanno fatto i cittadini di Innsbruck, del Cantone Vallese, di Calgary.
Dante Schiavon
Socio del Gruppo d’Intervento Giuridico