L’arrivo della peste suina africana nel Lazio, accertata già all’inizio dello scorso aprile, non modifica il calendario venatorio.
E’ questa la prima informazione che si può trarre leggendo il decreto con cui, il presidente della regione Lazio, fissa le regole ed i giorni in cui è possibile cacciare i cinghiali.
Restano in tutto 39 le giornate a disposizione dei cacciatori, lo stesso numero che era stato concesso per la stagione 2021/2022.
Si parte il 2 novembre e si arriva al 30 gennaio.
Il proliferare della specie, i cui esemplari vengono spesso segnalati anche nelle aree urbanizzate ed in particolare nelle strade del quadrante Nord (e non solo) della Capitale, non ha comportato una modifica del calendario venatorio.
Il nuovo calendario venatorio
La regione ha quindi resistito alle richieste di quanti avevano auspicato l’immediata e prolungata apertura della stagione di caccia.
I giorni restano gli stessi.
Il numero di capi invece può variare perché i piani di abbattimenti, che vengono predisposti dagli ambiti territoriali di caccia (Atc) e dalle aziende faunistiche venatorie, sono “ponderati sulla base di appositi censimenti” si legge nel decreto.
Dunque se gli esemplari, come già documentato, sono considerevolmente aumentati (si stima siano arrivati nel Lazio a quasi 75mila esemplari) è plausibile che la direzione regionale “caccia di selezione al cinghiale” acconsenta anche ad un incremento dei capi di abbattere.
Anche perché la regione, con un’apposita delibera di giunta, ha già deciso di destinare più risorse per aiutare gli Atc, strutture associative che collaborano alla programmazione dell’attività venatoria, nella ricerca e nell’abbattimento dei cinghiali.
Le diverse modalità di caccia
Il disciplinare fissa quindi le date e le regole cui devono attenersi i cacciatori che intendano organizzare il prelievo venatorio nelle varie modalità.
Perché esistono diversi modi per effettuare la caccia al cinghiale.
C’è infatti la “braccata” che prevede di spingere gli ungulati, attraverso un’apposita muta di cani che sono condotte dei “bracchieri”, verso quella che viene definita “una posta”, vale a dire il punto dove il cacciatore attende l’arrivo del selvatico per sparargli.
E’ questa la tecnica più diffusa in Italia, che risulta impattante sul resto della fauna e che prevede una scarsa possibilità di intervenire selettivamente sugli animali.
Una tecnica alternativa è quella della “girata”: prevede l’impiego di un solo segugio, legato con un lungo guinzaglio (fino a sei metri).
Anche in questo caso il cane spinge il cinghiale verso il luogo, “la posta”, dove lo attende il cacciatore.
E’ una tecnica più adatta a piccole aree boscate (la braccata invece si sua su estensioni tra i 150 ed i 600 ettari) ed è meno praticata in Italia.
Prelievo di selezione
Per contrastare lo sviluppo della peste suina africana, e per contenere la diffusione degli ungulati nel territorio regionale, la pratica che viene maggiormente incoraggiata è quella della “caccia al cinghiale in selezione”.
Negli allegati al decreto firmato da Zingaretti, si ricorda che è “opportuno sviluppare questo metodo di prelievo da utilizzare su tutto il territorio regionale in cui è ammessa l’attività venatoria, in considerazione del basso impatto che il prelievo in selezione esercita sulle altre componenti dell’ecosistema” e prevede il ricorso ai “selecontrollori”, vale a dire di cacciatori con particolari titoli ed autorizzazioni, solitamente registrati in un apposito albo.
Il ruolo di questi “selecontrollori” dovrà rivelarsi decisivo visto che è stato approvato anche un piano triennale, che prevede di dimezzare la popolazione di ungulati presenti nel territorio regionale.
(Articolo di Fabio Grilli, pubblicato con questo titolo il 26 agosto 2022 sul sito online “Roma Today”)
******************************