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In Europa la gestione forestale non è in linea con i modelli naturali

25 Aprile 2022
in APPROFONDIMENTI, ARCHIVI, beni paesaggistici, GOVERNO DEL TERRITORIO, NATURA, piani territoriali
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Lo studio “Natural disturbance regimes as a guide for sustainable forest management in Europe” pubblicato recentemente su Ecological Applications da un team di ricercatori europei e statunitensi del quale fa parte anche Renzo Motta del Dipartimento di scienze agrarie, forestali e alimentari dell’università di Torino, evidenzia che le foreste europee sono in difficoltà e, come dice uno degli autori, William Keeton dell’università del Vermont, «non perché si stiano perdendo.

L’Europa, in realtà, ora è più verde e più ricca di foreste ora di quanto non lo sia stata da secoli».

Ma molte delle foreste europee stanno soffrendo a causa di gravi focolai di insetti, malattie forestali, frequenza crescente di tempeste di vento e incendi più intensi.

Per fornire ai gestori forestali e ai responsabili politici nuove opzioni, il team di scienziati ha completato un ampio studio pluriennale sulle foreste in 13 Paesi europei e risultati dimostrano che «la gestione forestale più attuale in Europa non imita i modelli della natura, in particolare i modelli complessi creati dai disturbi naturali che lasciano dietro di sé un mosaico di tipi, età e dimensioni degli alberi; legno morto in piedi e abbattuto e territori altamente variabili e resilienti».

Invece, i ricercatori hanno scoperto che «la stragrande maggioranza – quasi il 73% – delle foreste europee è orientata verso piantagioni omogenee e di età paritaria. 

Queste, storicamente, sono state gestite per massimizzare la crescita e la resa del legname e di altri prodotti del legno, ma sono sempre più vulnerabili allo stress ambientale e ai cambiamenti climatici».

Keeton fa notare che «se omogeneizziamo un territorio in modo che tutto sia abete fino a dove arriva la vista, significa che quando arrivano gli scarabei della corteccia di abete, possono diffondersi a perdita d’occhio anche loro».

Un numero crescente di cittadini europei e gestori del territorio cercano di fare in modo che le loro foreste contribuiscano maggiormente all’assorbimento del carbonio, alla protezione della biodiversità e ad altri servizi ecosistemici come la qualità dell’acqua e la protezione dalle inondazioni. 

Ma i risultati del nuovo studio rivelano che «solo l’8% delle foreste europee non è gestito o gestito principalmente per obiettivi diversi dal legno, come lo stoccaggio del carbonio, la qualità dell’acqua o gli habitat della fauna selvatica».

Il team di scienziati ha sviluppato il “comparability index”, un nuovo strumento, essenzialmente una mappa tridimensionale, che utilizza dati sul campo e del mondo reale provenienti da tutta Europa, dimostrando che «i modelli creati dai disturbi naturali, siano essi piccoli focolai di insetti o enormi incendi, non corrispondono ai modelli imposti alle foreste dalla maggior parte delle moderne tecniche forestali».

L’indice dimostra che «i disturbi naturali tendono ad essere di dimensioni molto variabili, ma meno gravi rispetto ai modelli lasciati dal disboscamento e da altre gestioni forestali antropiche. 

I disturbi naturali tendono a verificarsi anche meno frequentemente. 

Alcuni, come i grandi incendi e le tempeste di vento, potrebbero verificarsi di rado ma modellano i territori nel corso di molti secoli. 

I disturbi causati dal taglio rotazionale delle foreste sono più frequenti, consentendo agli ecosistemi meno tempo per sviluppare habitat che si riprendono lentamente».

Forse la cosa più importante che mostra il nuovo indice è che di solito i disturbi naturali lasciano dietro di sé più alberi vivi e morti e legname (quella che gli scienziati chiamano “struttura residua”) rispetto ai 4 principali tipi di gestione forestale in uso in Europa, come il disboscamento, i ripetuti tagli di giovani alberi nei sistemi cedui, i tagli progressivi e la rimozione continua di alberi di media età in un sistema di selezione.

Keeton sottolinea che «per la prima volta in assoluto, il nostro studio mostra come le pratiche forestali europee potrebbero emulare più da vicino i disturbi naturali per produrre una gamma più ampia di habitat e servizi ecosistemici ed essere più sostenibili e resilienti.

Questo è un nuovo modo di pensare all’avanguardia per l’Europa, dove controllare e rimuovere i disturbi, piuttosto che emularli, è stato il modo di pensare dominante per diversi secoli».

La principale autrice dello studio, Réka Aszalós dell’Ökológiai Kutatóközpont ungherese, concorda: «Ci rendiamo sempre più conto che il disturbo umano è molto diverso dal disturbo naturale».  

Ecco perché gli scienziati del team suggeriscono che lo stile di silvicoltura chiamato“close-to-nature” o “natural dynamics silviculture”  sarebbe vantaggioso per i gestori forestali e i responsabili politici europei da includere nel loro kit di strumenti. 

«Abbiamo bisogno di grandi alberi, alberi per la fauna selvatica, legno morto in diversi stadi di decadimento, microhabitat e fronde complesse, per molti tipi di creature e biodiversità», aggiunge la Aszalós.

Secondo lo studio, «le tecniche selvicolturali che prestano maggiore attenzione a questi elementi delle foreste naturali – e copiano le dinamiche del disturbo naturale al livello dei singoli popolamenti di alberi e dei territori  più ampi – possono arricchire il portafoglio europeo di sistemi di gestione, ad esempio, dove la produzione di legno non è l’obiettivo primario».

Keeton osserva che «le pratiche di gestione forestale ad alta intensità e di età uniforme utilizzate in gran parte dell’Europa sono molto fuori allineamento con i regimi di disturbo naturale e, per deduzione, con le condizioni in cui gli organismi si sono co-evoluti e che sono le più adatte».

Dalla fine dell’ultima era glaciale, gli esseri umani hanno utilizzato e modificato le foreste europee, in particolare dalla rivoluzione neolitica degli insediamenti e dell’agricoltura negli ultimi 6.000 anni. 

E negli ultimi secoli, i Paesi europei hanno sviluppato una grande esperienza nella gestione della stragrande maggioranza delle loro terre boschive per la produzione intensiva di legname.

Queste piantagioni gestite, spesso mantenute con il taglio netto, composte da popolamenti di una sola specie e tagliate ogni 80 o 120 anni puntano al controllo delle dinamiche forestali per avere un flusso costante di legname da avviare al mercato. 

Finora, i presunti benefici della rimozione di disturbi – come incendi, alberi morti e morenti, inondazioni o specie non commerciabili – sono stati dati in gran parte per scontati, ma un numero crescente di ricerche dimostra che concentrarsi unicamente sulla massimizzazione della crescita e sulla resa del volume mercantile, spesso diminuisce la resilienza di una foresta rispetto a molti stress, dai cambiamenti climatici, ai parassiti, alla siccità.

Un altro autore dello studio Dominik Thom della Technische Universität München, rivela qualcosa di abbastanza sorprendente: «Abbiamo scoperto che oltre l’85% delle foreste gestite in Europa imita una sorta di disturbo dovuto alla sostituzione dei popolamenti. 

Questa è un’enorme percentuale delle nostre foreste, dato che quasi tutte le foreste in Europa sono gestite e ci sono pochissime riserve naturali.

Le cose che ci mancano di più nelle nostre foreste sono le fasi di sviluppo tardivo, strutture secolari, come alberi davvero grandi».

In una foresta naturale, nel corso di molti anni e secoli, emerge una grande complessità. 

Bill Keeton, dell’università del Vermount, lo vede nelle foreste vetuste che studiato da decenni in tutto il mondo e ha lavorato per imitare e includere le caratteristiche chiave di queste antiche foreste in varie tecniche forestali che ha sviluppato per una serie di proprietari terrieri con obiettivi diversi, e conclude: «Anche i disturbi naturali creano radure e mosaici molto complessi.

Sono quasi infinitamente complessi. 

Se riusciamo a emulare un po’ più da vicino i disturbi naturali nelle foreste gestite, avremo maggiori possibilità di fornire l’intera gamma di habitat di cui hanno bisogno salamandre, funghi, ragni e molte altre forme di vita, e probabilmente renderemo le foreste europee e noi stessi, più resilienti al clima in rapido cambiamento».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 22 aprile 2022 sul sito online “greenreport.it”)

 

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