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Il piano urbanistico può predisporre vincoli per esigenze urbanistiche

18 Gennaio 2022
in APPROFONDIMENTI, ARCHIVI, edilizia, GOVERNO DEL TERRITORIO, NEWS, piani territoriali, urbanistica
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Pisa, Piazza dei Miracoli

Rilevante pronuncia del Consiglio di Stato in tema di pianificazione urbanistica.

La sentenza Cons. Stato, Sez. IV, 19 ottobre 2021, n. 7013 ha riconosciuto che lo strumento urbanistico comunale (piano regolatore generale – P.R.G., piano urbanistico comunale – P.U.C., piano strutturale, ecc.) può prevedere previsioni vincolistiche su complessi di edifici o singoli edifici,. “ogni volta che tale scelta si appalesi come rivolta non già alla tutela autonoma degli immobili ex se considerati bensì al soddisfacimento di esigenze urbanistiche evidenziate dal carattere qualificante che gli stessi assumono nel contesto dell’assetto territoriale”.

Infatti appare “ben possibile che un bene, pur privo in sé di valenza culturale, rivesta una oggettiva centralità identitaria per una città e sia traguardato dagli abitanti (e dagli appositi organi elettivi comunali), come elemento idoneo a rappresentarne il passato ed a veicolare fisicamente i trascorsi” (vds. Cons. Stato, Sez. IV, 22 agosto 2018, n. 5029).

L’obiettivo è quello di realizzare scelte di pianificazione qualificanti di ampio respiro mediante l’imposizione di vincoli di natura urbanistica.

Gruppo d’Intervento Giuridico odv

Chiusdino, ruderi dell’Abbazia di San Galgano

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 27 dicembre 2021

Consiglio di Stato Sez. IV n. 7013 del 19 ottobre 2021

Urbanistica. Vincoli conservativi disposti dallo strumento urbanistico generale.

Il PRG può recare previsioni vincolistiche incidenti su complessi di edifici (ma anche su singoli immobili) ogni volta che tale scelta si appalesi come rivolta non già alla tutela autonoma degli immobili ex se considerati bensì al soddisfacimento di esigenze urbanistiche evidenziate dal carattere qualificante che gli stessi assumono nel contesto dell’assetto territoriale.

07013/2021 REG.PROV.COLL.

09852/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9852 del 2020, proposto dal signor Alfonso Calvanese, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Abbamonte, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, via degli Avignonesi n.5;

contro

il Comune di Frattamaggiore, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonella Di Bitonto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Seconda) n. 01837/2020, resa tra le parti;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Frattamaggiore;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 settembre 2021 il consigliere Silvia Martino;

Vista l’istanza di passaggio in decisione depositata dall’avvocato Andrea Abbamonte;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con istanza prot. n. 16818 del 9 luglio 2013, l’originario ricorrente, odierno appellante, chiedeva il rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’art. 5 comma 1 della legge della Regione Campania 8 dicembre 2009 n. 19 (c.d. Piano Casa), per un intervento di demolizione e ricostruzione, con l’aumento entro il limite del trentacinque per cento della volumetria esistente, dell’edificio in comproprietà individuato al C.T. fl. 5 p.lla 476 e situato in via Don Minzoni, n. 37.

1.1. L’istanza veniva rigettata con il provvedimento prot. 20802 del 30 ottobre 2014, fondato sui seguenti motivi:

a) non sussiste la condizione di cui alla lett. b) del comma 1 dell’art. 3 della legge regionale n. 19 del 2009, che consente l’applicazione del “beneficio” anche agli immobili inseriti nelle zone A del P.R.G. (centro storico), purché siano stati realizzati o oggetto di ristrutturazione negli ultimi cinquanta anni;

b) ricorre comunque l’esclusione prevista dall’art. 3, comma 1, lett. c) della medesima legge regionale n. 19 del 2009 (“Gli interventi edilizi di cui agli articoli 4, 5, 6-bis e 7 non possono essere realizzati su edifici che al momento delle presentazione della Denuncia di inizio di attività di edilizia (DIA) o della richiesta del permesso a costruire risultano(..): c) definiti di valore storico, culturale ed architettonico dalla normativa vigente, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n.137), dagli atti di governo del territorio o dagli strumenti urbanistici comunali con vincolo di inedificabilità assoluta”), poiché il complesso immobiliare è stato riconosciuto dall’art. 5 delle N.T.A. allegate al P.R.G. come “memoria storica”.

1.2. Il ricorrente deduceva tre articolati mezzi di gravame.

1.3. L’adito TAR disponeva una verificazione e, all’esito degli approfondimenti istruttori, nella resistenza del Comune di Frattamaggiore, rigettava il ricorso.

2. La sentenza è stata impugnata dall’Ing. Calvanese, rimasto soccombente.

Egli deduce:

I. Errore in judicando– Violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 2, 3 e 5 della l.r. Campania n. 19 del 2009 e s.m.i. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. b) l.r. Campania n. 19 del 2009 e s.m.i. – Travisamento dei fatti – Travisamento della prova – Illogicità della motivazione.

Il TAR avrebbe travisato l’istruttoria e la prova assunta in corso di causa con conseguente illogicità della motivazione della sentenza nella parte in cui ha “interpretato” l’accertamento effettuato dal verificatore, “stravolgendo” lo stesso in conformità al provvedimento reso dal Comune appellato.

Il verificatore avrebbe infatti accertato che la porzione di fabbricato oggetto di interventi giusta licenza edilizia del 1975, è “parte integrante del più ampio compendio immobiliare di proprietà dei germani Calvanese”.

Tali risultanze sarebbero state disattese senza idonea valutazione critica, ancorata alle risultanze processuali e logicamente motivata.

Il primo giudice si sarebbe infatti limitato ad estrapolare la parte descrittiva della relazione del verificatore, in cui è individuato catastalmente il complesso immobiliare di cui è causa, senza considerare gli elementi di continuità dell’intero complesso valorizzati dallo stesso verificatore;

II. Violazione di legge – Violazione e falsa applicazione della l.r. Campania n. 19 del 2009 e s.m.i. combinato disposto artt. 3 e 5 – Violazione e falsa applicazione della ratio legis– Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lett.d) e 10, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001 – Travisamento dei fatti – Travisamento dell’istruttoria – Motivazione erronea.

L’appellante ha poi censurato anche il capo di sentenza secondo cui la “ristrutturazione avvenuta nel 1975 avrebbe comunque riguardato solo una specifica limitata porzione, tanto da non incidere nella conformazione della restante parte che ha infatti conservato le originarie caratteristiche, così escludendosi, anche sotto questa prospettiva che valorizza la ratio normativa, l’applicazione del beneficio previsto dall’art. 5 comma 1 della legge regionale 19/2009 ( cfr. TAR Napoli sez. II 7 novembre 2017 n. 5234; anche TAR Napoli sez. VIII 11 ottobre 2019 n. 4835)”.

Tuttavia:

– non sarebbe richiesto che i lavori abbiano riguardato l’integrale complesso edilizio;

– la finalità della l.r. n. 19 del 2009 è quella di promuovere iniziative funzionali alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente ragion per cui, ai fini della deroga dall’esclusione dell’applicazione della norma per gli immobili siti in zona A, l’art. 3 lett. b) della disciplina regionale non richiederebbe necessariamente un intervento che abbia interessato l’intero complesso edilizio.

Pure rilevante in tal senso sarebbe l’art. 5 della medesima l.r. n. 19 del 2009, relativo all’attività di demolizione e ricostruzione, che è consentita per interventi “da realizzarsi all’interno dell’area nella quale l’edificio esistente è ubicato, di proprietà del soggetto richiedente”.

Pertanto, la disposizione dell’art. 3 lett. b) – che prevede il divieto di realizzazione di siffatti interventi per immobili collocati all’interno di zone territoriali omogenee di cui alla lettera A) dell’articolo 2 del decreto ministeriale n.1444/1968 o ad esse assimilabili “ad eccezione degli edifici realizzati o ristrutturati negli ultimi cinquanta anni qualora non rientrino in altri casi di esclusione ai sensi del presente articolo” – sarebbe da intendersi con riferimento ad edifici situati “all’interno dell’area nella quale l’edificio esistente è ubicato”.

3. In virtù dell’effetto evolutivo dell’appello l’Ing. Calvanese ha poi riproposto i motivi il cui esame è stato assorbito dal TAR:

III. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 e 5 della l.r. 19 del 2009 – Violazione del d.lgs. n. 42 del 2004 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti – Difetto di motivazione – Violazione del principio del giusto procedimento di legge – Atipicità.

La l.r. n. 19 del 2009, all’art. 3 lett. c) esclude gli interventi di ristrutturazione di cui al successivo art. 5 per i fabbricati “c) definiti di valore storico, culturale ed architettonico dalla normativa vigente, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), dagli atti di governo del territorio o dagli strumenti urbanistici comunali e con vincolo di inedificabilità assoluta”.

I beni culturali storici vincolati cui la norma in rubrica fa riferimento sarebbero esclusivamente quelli individuati ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004.

Le disposizioni contenute nell’art. 5 delle NTA del PRG di Frattamaggiore, non porrebbero alcun vincolo di inedificabilità assoluta sull’area in questione limitandosi a prevedere per i fabbricati individuati alla Tav. 11 del suddetto PRG la possibilità di interventi di manutenzione ordinaria/straordinaria e risanamento conservativo di cui all’art. 31 L. 457/748.

Una lettura sistematica delle disposizioni contenute nella l.r. n. 19 del 2009, nonché nella normativa di cui al d.lgs. n. 42/2004, porterebbe a ritenere che l’eccezione all’applicazione del Piano Casa formulata dall’art. 3 cit. sia riferita unicamente ai beni immobili vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e a quelli sottoposti a vincoli di inedificabilità assoluta dagli strumenti urbanistici locali.

Tale interpretazione sarebbe altresì confermata dal fatto che il legislatore regionale ha attribuito ai Comuni la specifica facoltà di escludere l’applicazione del Piano Casa per determinate porzioni di territorio comunale a mezzo di apposita delibera di C.C. da adottarsi nei termini prescritti.

Nella fattispecie, tuttavia, il Comune di Frattamaggiore non ha ritenuto di individuare le aree in questione fra quelle sottratte all’applicazione del Piano Casa;

IV. Violazione e falsa applicazione della l.r. n. 16 del 2004, in connessione alla l. n. 1150 del 1942 – Violazione degli artt. 12 e ss. del d.lgs. n. 42 del 2004 – Violazione del giusto procedimento di legge – Incompetenza – Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria.

Il vincolo storico, nell’ambito del nostro ordinamento, può scaturire solo dalla valutazione di rilievo storico e culturale di competenza dell’Amministrazione Centrale dei Beni Culturali.

Il concetto di fabbricato di “memoria storica” posto a base della previsione di cui all’art. 5 delle NTA del PRG del Comune di Frattamaggiore non potrebbe quindi condurre alla costituzione di un vincolo storico culturale né, a ben vedere, alla sussistenza di un vincolo di inedificabilità assoluta relativamente alle aree ed immobili de quo.

L’appellante, al riguardo, ha comunque riproposto l’impugnativa di cui all’art. 5 delle NTA del PRG ivi inclusa la cartografia di cui all’allegato 11 e agli atti tutti del Piano nella parte in cui pongono sulla proprietà Calvanese un illegittimo vincolo storico ovvero un illegittimo di inedificabilità assoluta.

Nessuna disposizione di legge attribuirebbe infatti al Piano Regolatore Comunale la potestà/facoltà di introdurre vincoli di tipo storico in ordine a determinati immobili, del tutto diversa essendo la previsione di cui alla l.r. n. 16 del 2004 secondo cui il Piano Urbanistico Comunale deve contenere disposizioni relative al rispetto degli interessi di carattere storico, artistico e archeologico (art. 23, comma 3).

Quand’anche si volesse introdurre nel PRG la possibilità di apporre vincoli di tipo storico evidentemente si dovrebbe disciplinare e determinare una istruttoria preventiva con annotazione delle caratteristiche di tali immobili vincolati e conseguente notifica agli interessati della proposta di vincolo e della relativa disciplina (ciò che, nella fattispecie, non è avvenuto).

La stessa possibilità del PRG di introdurre vincoli di inedificabilità assoluta sarebbe comunque preordinata alla necessità del pianificatore comunale di disporre di determinate aree ed immobili per fini di pubblica utilità: con la conseguenza che una siffatta disposizione vincolistica di PRG dovrebbe venir meno alla scadenza del quinquennio.

4. Si è costituito, per resistere, il Comune di Frattamaggiore, articolando le proprie difese con dovizia di argomentazioni.

5. L’appellante ha depositato una memoria conclusionale.

6. L’appello, infine, è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 23 settembre 2021.

7. L’appello è infondato e deve essere respinto.

Al riguardo, si osserva quanto segue.

8. Secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, la natura derogatoria e temporanea del Piano Casa di cui alla legge della Regione Campania n. 19 del 2009 non consente interpretazioni estensive “che potrebbero condurre a stravolgere l’ordinata pianificazione del territorio” (Cons. Stato, sez. VI, 21 marzo 2016, n. 2153).

Tale criterio ermeneutico, nella fattispecie, è stato correttamente utilizzato dal TAR laddove, in ordine all’interpretazione dell’art. 3, comma 1, lett. b) della citata disciplina regionale, ha osservato che la “riespansione dell’ambito applicativo oggettivo del “beneficio” del permesso di costruire in ampliamento” presuppone una corrispondenza tra l’edificio su cui si chiede l’intervento edilizio e quello già interessato da precedenti interventi di ristrutturazione (o realizzato in epoca recente) poiché “l’estromissione degli edifici collocati nei centri storici ha la finalità di preservarne le caratteristiche originarie”, con la conseguenza che “laddove vi sia stata la realizzazione di un nuovo edificio, o un intervento di ristrutturazione nel periodo di tempo considerato di rilievo dalla legge (cinquanta anni), le esigenze di tutelare i valori estetici, storici e culturali che giustificano, in generale, l’esclusione dal beneficio, non sono più meritevoli di apprezzamento, non trovando più corrispondenza nel substrato materiale dell’edificio che ha perso la propria configurazione originaria”.

Dalla finalità delle citate disposizioni il TAR ha quindi tratto la conclusione, non efficacemente contrastata dall’appellante, che quand’anche il complesso immobiliare oggetto di intervento “possa qualificarsi come un unico edificio – circostanza comunque non emersa all’esito dell’istruttoria” poiché la ristrutturazione del 1975 ha inciso solo su una sua minima parte la stessa risulta “inidonea a far venire meno la configurazione originaria dell’intero complesso (analogamente a come accadrebbe se, nell’ambito di un unico edificio, vi fosse stata la ristrutturazione di un’unica unità immobiliare)”.

8.1. Non può nemmeno imputarsi al primo giudice di avere travisato le risultanze della verificazione.

Le emergenze obiettive (planimetrie e documentazione fotografica) confermano infatti l’esistenza di un “complesso” articolato in due edifici distinti, aventi diversi identificativi catastali, sebbene tra loro adiacenti e di tipologia costruttiva e strutturale analoga.

Ai fini di un diverso apprezzamento, non può certamente condurre la disposizione di cui all’art. 5, comma 1 della l.r. n. 19 del 2009, richiamata dall’appellante (“In deroga agli strumenti urbanistici vigenti è consentito l’aumento, entro il limite del trentacinque percento, della volumetria esistente degli edifici residenziali per interventi di demolizione e ricostruzione, da realizzarsi all’interno dell’area nella quale l’edificio esistente è ubicato, di proprietà del soggetto richiedente)”.

Il riferimento ivi contenuto all’ “area” su cui insiste l’edificio oggetto di ristrutturazione, è infatti una prescrizione finalizzata a delimitare la localizzazione di questo tipo di intervento ed ha quale logico presupposto che lo stesso sia astrattamente assentibile in base al Piano Casa.

Esso, pertanto, non può essere estrapolato da questo specifico contesto per essere utilizzato quale criterio ermeneutico della disposizione derogatoria contenuta nel precedente art. 3, comma 1, lett. b) e che rappresenta il “prius” logico ai fini dell’applicazione delle disposizione contenuta nell’art. 5.

9. Deve poi convenirsi con la difesa della civica Amministrazione che erano parimenti infondati anche i motivi di ricorso – non esaminati dal TAR e devoluti in appello – volti a contestare la seconda ragione che sorregge il diniego impugnato, relativa all’ascrivibilità dell’intervento in progetto anche all’ipotesi di esclusione previsa dall’art. 3, comma 1, lett. c) della legge regionale n. 19/2009 (“Gli interventi edilizi di cui agli articoli 4, 5, 6-bis e 7 non possono essere realizzati su edifici che al momento delle presentazione della Denuncia di inizio di attività di edilizia (DIA) o della richiesta del permesso a costruire risultano[…] : c) definiti di valore storico, culturale ed architettonico dalla normativa vigente, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n.137), dagli atti di governo del territorio o dagli strumenti urbanistici comunali con vincolo di inedificabilità assoluta”).

L’immobile di cui trattasi è infatti inserito nella tavola 11 del PRG (“particolarizzazione vecchio centro”), ed è disciplinato dall’art. 5 della NTA secondo cui i fabbricati ivi ricompresi costituiscono una “‘memoria storica’ della città e, pertanto da salvaguardare”,

Per tali fabbricati “sono consentiti esclusivamente interventi di conservazione” ovvero interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di restauro e risanamento conservativo, secondo quanto specificamente prescritto dalla medesima disposizione.

9.1. Al riguardo, è priva di fondamento la tesi secondo cui, ai fini dell’esclusione dai benefici del Piano casa, rileverebbero esclusivamente i vincoli apposti ai sensi della normativa statale di tutela dei beni culturali.

La Sezione ha infatti già avuto modo di chiarire come sia “ben possibile che un bene, pur privo in sé di valenza culturale, rivesta una oggettiva centralità identitaria per una città e sia traguardato dagli abitanti (e dagli appositi organi elettivi comunali), come elemento idoneo a rappresentarne il passato ed a veicolare fisicamente i trascorsi” (sentenza n. 5029 del 2018).

Il PRG può infatti recare previsioni vincolistiche incidenti su complessi di edifici (ma anche su singoli immobili) ogni volta che tale scelta si appalesi come rivolta non già alla tutela autonoma degli immobili ex se considerati bensì al soddisfacimento di esigenze urbanistiche evidenziate dal carattere qualificante che gli stessi assumono nel contesto dell’assetto territoriale.

In tale ipotesi non si realizza una duplicazione rispetto alla sfera di azione della legislazione statale di settore in quanto il pregio del bene, pur se non sufficiente al fine di giustificare l’adozione di un provvedimento impositivo di vincolo culturale o paesaggistico, viene valutato come elemento di particolare valore urbanistico e può quindi costituire oggetto di salvaguardia in sede di scelte pianificatorie (cfr., in termini, Cons. Stato, sez. V, 22 aprile 2013, n. 2265).

Tale indirizzo si fonda sulla norma che, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, ha esteso il contenuto del piano regolatore generale anche all’indicazione dei “vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico” (art. 1 della l. n. 1187 del 1968).

Essa legittima l’autorità titolare del potere di pianificazione urbanistica a valutare autonomamente tali interessi ed eventualmente, nel rispetto dei vincoli già esistenti posti dalle amministrazioni competenti, ad imporre nuove e ulteriori limitazioni (Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 1831 del 2019).

Nello stesso senso è anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale secondo la quale (sentenza n. 232 del 16 giugno 2005), “non v’è dubbio che tra i valori che gli strumenti urbanistici devono tutelare abbiano rilevanza non secondaria quelli artistici, storici, documentari e comunque attinenti alla cultura nella polivalenza di sensi del termine”.

Pertanto, nella disciplina del governo del territorio, ben può tenersi conto “non soltanto dei beni culturali identificati secondo la normativa statale, ma eventualmente anche di altri, purché però essi si trovino a far parte di un territorio avente una propria conformazione e una propria storia”.

Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie in cui, in sede di approvazione dello strumento urbanistico generale, il Comune di Frattamaggiore ha individuato nel proprio territorio una “zona di particolare interesse” in cui sono presenti fabbricati aventi valore storico-identitario “da salvaguardare”.

9.2. Va soggiunto che le scelte compiute con l’approvazione del PRG (risalente al 2001) non solo sono ormai inoppugnabili, ma nemmeno sono decadute, trattandosi di prescrizioni conformative che connotano un’intera categoria di beni in ragione, appunto, della loro valenza storico – identitaria.

9.3. Quanto, infine, all’argomentazione secondo cui quello posto dal PRG di Frattamaggiore non sarebbe un vincolo di “inedificabilità assoluta”, come richiesto dall’art. 3, comma 1, lett. c) per escludere i benefici del Piano casa, è sufficiente evidenziare che il concetto di inedificabilità ivi declinato deve essere posto logicamente in relazione con la prima parte della medesima disposizione, secondo cui l’esclusione opera con specifico riferimento agli “interventi edilizi di cui agli articoli 4, 5, 6-bis e 7” – ovvero gli interventi ampliativi nonché quelli di demolizione e ricostruzione – precludendone la realizzazione; il che è esattamente il fine del vincolo conservativo prescritto dallo strumento urbanistico generale nel caso di specie.

10. In definitiva, per quanto testé argomentato, l’appello deve essere respinto.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, n. 9852 del 2020, di cui in premessa, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese del grado, che liquida, complessivamente, in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre gli accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 settembre 2021 con l’intervento dei magistrati:

Roberto Giovagnoli, Presidente

Daniela Di Carlo, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Emanuela Loria, Consigliere

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Silvia Martino Roberto Giovagnoli
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

Depositata in Segreteria il 19 ottobre 2021

Castello di Fenis

(foto S.D., archivio GrIG)

(Articolo pubblicato con questo titolo il 17 gennaio 2022 sul sito online del Gruppo d’Intervento Giuridico)

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