Il Consiglio dei Ministri si è riunito mercoledì 24 dicembre 2014 alle ore 12.50, a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi: Segretario il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio.
Su proposta del Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Maria Carmela Lanzetta, il Consiglio dei Ministri ha esaminato trenta leggi delle Regioni e delle Province Autonome ed ha deliberato fra l’altro l’impugnativa della Legge della Regione Toscana n. 65 del 11 gennaio 2014, recante “Norme per il governo del territorio” che è stata impugnata “in quanto alcune disposizioni, riguardanti l’approvazione di previsioni urbanistiche per le medie e grandi strutture di vendita, costituiscono ostacolo alla libera concorrenza, in violazione della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione” e perché “altre disposizioni, in materia di edilizia, si pongono in contrasto con la normativa statale di principio in materia di governo del territorio, in violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione.”
Maria Carmela Lanzetta
Riguardo alle previsioni urbanistiche per le medie e grandi strutture di vendita c’è da sapere che secondo l’Esecutivo la legge 65 sulle “norme per il governo del territorio” non applicherebbe le regole sulle liberalizzazioni per quanto riguarda la media e grande distribuzione commerciale oltre a non rispettare le indicazioni autorizzative edilizie del decreto Sblocca Italia di Renzi: in sostanza, raccogliendo le istanze delle associazioni di categoria del commercio, la Toscana ha provato a mettere un freno al proliferare di supermercati sul proprio territorio, evitando, nei fatti, che strutture agricole di grandi dimensioni potessero trasformarsi in centri commerciali.
Una sorta di stop al consumo di suolo.
Va messo in risalto al riguardo che due anni fa ad essere sotto attacco da parte del Governo fu il Testo unico sul commercio della Regione sempre per quanto riguardava le disposizioni su media e grande distribuzione.
Allora la sentenza della Corte riconobbe la giustezza del provvedimento della Toscana, per cui oggi come allora il Presidente Enrico Rossi si potrebbe affidare a quanto già decretato dalla Corte Costituzionale.
Nello specifico da parte del Governo sono state portate al riguardo le seguenti motivazioni.
La legge della Regione Toscana n. 65/2014, recante «Norme per il governo del territorio», presenta profili di illegittimità costituzionale in riferimento agli articoli 25, 26, 27, 207 e 208 e deve pertanto essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione per i motivi di seguito specificati. 1) Gli articoli 25, 26 e 27, che riguardano l’approvazione di previsioni urbanistiche in materia di medie e grandi strutture di vendita, riproducono meccanismi di tutela degli esercizi di vicinato che costituiscono un ostacolo effettivo alla libera concorrenza della regione Toscana e pertanto, ponendosi in contrasto con le norme di liberalizzazione contenute agli articoli 31 del d.l. n. 201/2011 e all’articolo 1, comma 1, del d.l. n. 1/2012, violano l’articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione.
In particolare, le disposizioni citate prevedono il ricorso alla conferenza di copianificazione nell’ambito della pianificazione di nuovi impegni di suolo esterni al perimetro urbanizzato (art. 25), e per l’approvazione delle previsioni “… di aggregazioni di medie strutture di vendita aventi effetti assimilabili a quelli delle grandi strutture” (art. 26, co. 1, lett. a e b).
L’articolo 27 chiarisce che “le previsioni di medie strutture di vendita che comportano impegno di suolo non edificato al di fuori del perimetro del territorio urbanizzato sono soggette alla conferenza di copianificazione qualora risultino: a) non inferiori a 2.000 mq di superficie di vendita per i comuni di cui all’articolo 15, comma 1, lettera e) numero 2) della legge regionale n. 28 del 2005; b) non inferiori a 1.000 mq di superficie di vendita per i comuni diversi da quelli di cui all’articolo 15, comma 1, lettera e) numero 2)”,
La conferenza di copianificazione verifica dette previsioni tenendo conto, de:
“a) la capacità di assorbimento, da parte dell’infrastrutturazione stradale e ferroviaria presente nel territorio del comune e in quello dell’ambito di interesse sovracomunale, del carico di utenze potenziali connesso al nuovo esercizio;
b) il livello di emissioni inquinanti, comprensivo dell’incremento dovuto alla movimentazione veicolare attesa dalla nuova struttura di vendita;
c) la sostenibilità rispetto alla tutela del valore paesaggistico dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO) (….);
d) le conseguenze attese sulla permanenza degli esercizi commerciali di prossimità, al fine di garantire i servizi essenziali nelle aree più scarsamente popolate;
e) le conseguenze attese sui caratteri specifici e sulle attività presenti nei centri storici compresi nell’ambito sovracomunale, e le necessarie garanzie di permanenza delle attività commerciali d’interesse storico, di tradizione e di tipicità” (art. 26, comma 2).
In base al comma 5 dell’articolo 25, all’esito di questa verifica la conferenza di copianificazione “indica gli eventuali interventi compensativi degli effetti introdotti sul territorio”.
Tali disposizioni, pur se relative a motivazioni di tipo urbanistico, aggravano il procedimento autorizzatorio per le medie strutture di vendita in forma aggregata, anche attraverso la previsione di interventi compensativi, creando, di fatto, ulteriori tipologie di strutture commerciali.
Attraverso le disposizioni citate, la Regione Toscana tutela gli esercizi di vicinato con sistemi che la Commissione europea ha, a più riprese, chiesto di sostituire con strumenti alternativi di qualificazione dei centri urbani o delle aree a scarsa densità di popolazione.
Analoghi profili di illegittimità costituzionale sono stati recentemente riscontrati con riferimento all’articolo 20 della legge regionale n. 52 del 2012, ritenuto in contrasto con le norme di liberalizzazione contenute nel d.l. n. 201/2011 e poi dichiarato incostituzionale con sentenza n. 165/2014.
La disciplina introdotta dalle disposizioni impugnate non è in linea con quanto affermato nella sentenza n. 165/2014: l’introduzione di requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legislazione vigente in considerazione delle dimensioni e della tipologia dell’esercizio commerciale rappresentano un ostacolo effettivo alla libera concorrenza della regione Toscana, sotto un duplice profilo, regionale e intra-regionale.
Nel caso di specie, dette restrizioni derivano anche dalla distanza tra le varie strutture di vendita, come è insito dal richiamo al concetto di “aggregazione”.
Si tratta di restrizioni che non sono adeguate né proporzionate rispetto alle finalità perseguite, che si pongono in contrasto con la direttiva 2006/123 CE e con l’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201/2011.
Pertanto, oltre a contrastare con l’art. 117, comma 1, della Costituzione, invadono la potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, e quindi violano l’articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione.
Le osservazioni della Regione Toscana divulgate il 29 dicembre 2014
“Secondo quanto si è appreso – fa sapere una nota della Regione – sarebbero gli articoli 25, 26, 27, 207 e 208 a presentare, secondo l’esecutivo nazionale, profili di incostituzionalità”.
I primi tre articoli della legge toscana riguardano le previsioni urbanistiche in materia di medie e grandi strutture di vendita che riprodurrebbero meccanismi di tutela degli esercizi di vicinato e quindi costituirebbero un ostacolo alla libera concorrenza.
“Su questo punto – precisa Rossi – la nostra posizione è nota: non intendiamo affatto limitare la concorrenza ma piuttosto, attraverso motivazioni urbanistiche, favorire una presenza razionale del commercio sul territorio, tale da evitare squilibri ambientali e impatti insostenibili sul piano delle infrastrutture.
D’altra parte lo stesso Osservatorio nazionale sui prezzi ha indicato la Toscana come la regione dove, proprio grazie a questa politica, si sono prodotti i maggiori vantaggi per i consumatori”.
A fianco della Regione
Di sicuro il Governatore nella sua battaglia non è solo.
In una recente intervista a Il Tirreno il presidente di Confesercenti Toscana e vice presidente nazionale Massimo Vivoli ha ribadito con forza che «In Toscana combatteremo a fianco della Regione. Siamo convinti che debba essere chi conosce il territorio e non il governo a decidere lo sviluppo produttivo, dove e se si deve insediare la grande distribuzione» che ha proseguito «ad attirare l’attenzione sul freno messo dalla Toscana alla grande distribuzione c’è la lobby dei supermercati.
Dietro all’insediamento di queste catene c’è un grande lavoro di lobbing che schiaccia la piccola e media impresa».
Massimo Vivoli
Per quanto riguarda la censura sulla materia edilizia da parte del Governo sono state portate le seguenti motivazioni.
2) Gli articoli 207, 208 si pongono in contrasto con la normativa statale di principio contenuta nella Parte I, Titolo IV, del D.P.R. n. 380/2001 (Testo unico dell’edilizia), e quindi violano l’articolo 117, comma 3, della Costituzione, con riferimento alla materia “governo del territorio”.
Inoltre, incidendo sul sistema di sanzioni civili e penali previste dal medesimo Testo unico dell’edilizia, invadono la potestà legislativa esclusiva statale nella materia “ordinamento civile e penale” e dunque violano l’art. 117, comma 2 della Costituzione.
In particolare:
2.1.) L’articolo 207 (“Sanzioni per opere ed interventi edilizi abusivi anteriori al 1° settembre 1967”) prevede, al comma 1, che “con riferimento alle opere ed interventi edilizi eseguiti ed ultimati in data anteriore al 1° settembre 1967 …. in assenza di titolo abilitativo o in difformità dal medesimo, ricadenti all’epoca all’interno della perimetrazione dei centri abitati, il comune valuta prioritariamente la sussistenza dell’interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica violata mediante rimessione in pristino.
Qualora il comune valuti che tale interesse sussista, applica, a seconda dei casi, le sanzioni di cui agli articoli 196, 199, 200 e 206”.
Al comma 2, la disposizione disciplina l’ipotesi in cui, per le opere edilizie di cui al comma 1, il comune non ravvisi la sussistenza dell’interesse pubblico alla rimessione in pristino.
La lettera a) del comma 1 prevede che, per le opere in contrasto con gli strumenti urbanistici comunali, il comune applichi una sanzione pecuniaria, oltre ai contributi disciplinati dal Capo I del Titolo VII.
Per le opere e gli interventi conformi agli strumenti urbanistici comunali, oltre ai suddetti contributi, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria non superiore ad euro 500.
Il comma 3 prevede che “La corresponsione delle somme di cui al comma 2 non determina la legittimazione dell’abuso”.
Al comma 4 la norma disciplina l’ipotesi degli interventi eseguiti in data anteriore al 1° settembre 1967, in assenza di titolo abilitativo o in difformità dal medesimo, qualora ricadenti all’epoca della realizzazione dell’abuso al di fuori del centro abitato.
Detti interventi “sono da considerarsi consistenze legittime dal punto di vista urbanistico-edilizio”.
Infine, il comma 7 del medesimo articolo 207 prevede che “Il piano operativo può assoggettare a specifica disciplina le consistenze edilizie oggetto delle sanzioni di cui al comma 2.
In assenza di specifica disciplina su tali consistenze non sono consentiti interventi comportanti demolizione e ricostruzione, mutamento della destinazione d’uso, aumento del numero delle unità immobiliari, incremento di superficie utile di volume”.
La disposizione impugnata si appalesa sotto più aspetti in contrasto con la normativa statale di principio in materia di governo del territorio e di ordinamento penale, in quanto, per gli abusi edilizi realizzati in data anteriore al 1° settembre 1967, limita l’applicazione delle sanzioni previste dagli articoli 196, 199, 200 e 206 della l.r. n. 65/2014 agli interventi “ricadenti all’epoca all’interno dei centri abitati” e per i quali il comune “ritenga prioritariamente la sussistenza dell’interesse pubblico al ripristino della legalità violata mediante rimessione in pristino”.
Dal combinato disposto dei commi 1, 2, 4 e 7, infatti, si evince che dette sanzioni non trovano applicazione neppure per interventi abusivi realizzati fuori dai centri abitati (che anzi sono definiti consistenze “da considerarsi legittime dal punto di vista urbanistico-edilizio”).
Ciò in palese contrasto con gli articoli 27 (“Vigilanza sull’attività urbanistico edilizia”), 31 “Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”; 33 “Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità”, 34 “Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire” e 37 “Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità” del d.P.R. n. 380/2001, che, come noto, configurano l’esercizio del potere comunale di vigilanza e repressione degli abusi edilizi come un obbligo, e non come una facoltà.
È consolidato il principio per cui laddove vengano accertate irregolarità edilizie il dirigente comunale è obbligato ad adottare i provvedimenti repressivi e sanzionatori, non essendo necessario che ricorrano ragioni di pubblico interesse.
Ciò per una precisa scelta del legislatore, che non ha previsto un termine di decadenza o di prescrizione per l’esercizio dei poteri di repressione degli abusi edilizi del comune e, al tempo stesso, ha previsto che le sanzioni amministrative in materia, essendo volte essenzialmente a reintegrare l’interesse pubblico leso, non possono estinguersi per effetto del decorso del tempo.
Il sistema sanzionatorio descritto nel testo unico è volto a garantire il primario interesse di tutela del territorio ed eccede dalla competenza legislativa concorrente della Regione in materia di “governo del territorio” la possibilità di porre un limite all’esercizio di questo potere.
Peraltro, l’articolo 31 del testo unico prevede che, nel caso di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, laddove il proprietario non provveda alla demolizione o al ripristino, “il bene e l’area di sedime sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio comunale”, e ciò a prescindere da ogni accertamento dell’interesse pubblico all’esercizio del sistema sanzionatorio.
Sulla base di un accertamento del tutto discrezionale e non previsto dalla normativa statale “dell’interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica violata”, la disposizione regionale censurata non solo non prevede né la demolizione né l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive, ma addirittura consente, al comma 7, che i piani operativi possano assoggettare dette consistenze a specifica disciplina, consentendo anche su immobili abusivi “interventi comportanti demolizione e ricostruzione, mutamento della destinazione d’uso, aumento del numero delle unità immobiliari, incremento di superficie utile lorda o di volume”.
Per le opere o gli interventi edilizi realizzati anteriormente al 1° settembre 1967 fuori dai centri abitati, gli interventi previsti dal comma 7 sono sempre consentiti e l’esercizio del potere repressivo previsto dagli articoli 196, 199, 200 e 206 della l.r. n. 65/2014 non è previsto, in spregio dei principi di imparzialità, uguaglianza e buon andamento.
Inoltre, vista la formulazione del comma 4 (secondo cui questi interventi sono da considerarsi “consistenze legittime del punto di vista urbanistico-edilizio”) per detti abusi non sembrerebbero applicabili nemmeno le sanzioni penali e civili previste dal d.p.r. n. 380/2001, in palese invasione della competenza legislativa esclusiva statale nella materia “ordinamento civile e penale” (art. 117, comma 2, lettera l).
La previsione di cui al comma 7 si pone in contrasto anche con l’art. 5, commi 9 e 10, del d.l. n. 70/2011, che non consente gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli ampliamenti per gli edifici abusivi, con esclusione degli interventi per cui sia rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria.
La disposizione impugnata, pur affermando, al comma 3, che “la corresponsione delle somme di cui al comma 2 non determina la corresponsione dell’abuso”, sembra introdurre una surrettizia forma di condono, andando così ad invadere la competenza legislativa statale.
La disposizione di cui al comma 3, sembrerebbe essere volta solo a fare salve le sanzioni penali (peraltro, come detto, solo nel caso di immobili realizzati nei centri abitati), ma è chiaro che, nella sostanza, la norma consente di legittimare, sotto il profilo urbanistico ed edilizio, interventi abusivi, sottraendoli all’esercizio delle sanzioni amministrative previste dagli articoli 196, 199, 200 e 206 e consentendo ai piani operativi di disciplinare interventi di ampliamento su questi immobili (interventi che, peraltro, sembrerebbero ammessi anche in deroga dai piani operativi nelle ipotesi previste dal comma 4).
Occorre ricordare che i condoni straordinari sono stati previsti dalla legislazione statale per gli abusi più risalenti, proprio al fine di chiudere con il passato per instaurare un regime di maggior rigore nei controlli e nelle sanzioni in materia edilizia e che la sanatoria straordinaria delle opere abusive è sottratta alla potestà legislativa regionale.
La Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 225/2012 (punto 3 del Considerato in diritto, ha chiarito che: “nella disciplina del condono edilizio convergono la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di sanzionabilità penale e la competenza legislativa concorrente in tema di governo del territorio di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. (sentenze n. 49 del 2006 e n. 70 del 2005)” e, soprattutto, che “è stata ritenuta di stretta interpretazione, in quanto espressione di principio generale afferente ai limiti della sanatoria, l’individuazione da parte della legge dello Stato delle fattispecie ad essa assoggettabili, di modo che le stesse non possono essere comunque ampliate o interpretate estensivamente dalla legislazione regionale.
Per questo motivo risulta pienamente conforme al dettato costituzionale l’art. 32, comma 27, del d.l. n. 269 del 2003, contenente la previsione tassativa delle tipologie di opere insuscettibili di sanatoria, la quale determina, in pratica, i limiti del condono, entro il cui invalicabile perimetro può esercitarsi la discrezionalità del legislatore regionale (sentenza n. 70 del 2005)”.
Sul punto, si veda anche la sentenza n. 290/2009, secondo cui “Questa Corte ha già riconosciuto che “solo alla legge statale compete l’individuazione della portata massima del condono edilizio straordinario” (sentenza n. 70 del 2005; sentenza n. 196 del 2004), sicché la legge regionale che abbia per effetto di ampliare i limiti applicativi della sanatoria eccede la competenza concorrente della Regione in tema di governo del territorio”.
La Regione Toscana, con la previsione impugnata, travalica i limiti indicati dalla Corte costituzionale, in quanto il mero riferimento all’interesse pubblico al ripristino alla legalità urbanistica violata consente al comune, per gli immobili abusivi realizzati prima del 1967, di disporre effetti sostanzialmente analoghi a quelli di un condono, che consistono nella non applicazione delle sanzioni amministrative della demolizione e dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, anche al di là dei casi che la legge statale aveva individuato per i condoni straordinari (il cui termine, peraltro, è ormai inevitabilmente chiuso).
Conclusivamente, la disposizione regionale censurata, ponendosi in contrasto con i principi fondamentali dello Stato in materia di governo del territorio contenuti nel d.p.r. 380/2001 sopra richiamati, con le norme contenute nel d.l. 70/2011 in tema di interventi in deroga, con le disposizioni in materia di sanzioni civili e penali previste dal suddetto d.p.r. n. 380/2001 in tema di reati edilizi, viola l’art. 117, comma 2, lett. s) e 117, comma 3 della Costituzione.
2.2) Considerazioni analoghe a quelle formulate al punto precedente, con riferimento all’articolo 207 della legge regionale n. 65/2014, valgono anche per l’articolo 208 della stessa legge, che ripropone disposizioni analoghe per opere ed interventi edilizi abusivi anteriori al 17 marzo 1985, soltanto che, a differenza della norma precedente, in questo caso non è fatta alcuna distinzione tra le opere eseguite all’interno o all’esterno del perimetro dei centri abitati.
Riguardo alle suddette censure il 1 dicembre 2014 il sig. Massimo Grisanti ha trasmesso un sollecito-diffida a sollevare la questione di legittimità costituzionale della legge regionale della toscana al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro per gli Affari regionali della Repubblica Italiana e per conoscenza anche al Procuratore della Repubblica di Firenze affinché voglia valutare se nell’esercizio della funzione legislativa i Consiglieri regionali abbiano commesso reati.
Nel sollecito-diffida ravvisa ben 11 motivi di violazione di norme statali, tra cui gli articoli 54, 117e 118 della Costituzione, l’art. 10 della Legge n° 1150/1942 ed il D.P.R. n° 8/1972, l’art. 154 del Decreto Legislativo n° 42/2004 e l’art. 28 del Regio Decreto n° 1357/1940, gli articoli 12 e 89 del D.P.R. n° 380/2001, l’art. 6 del D.M. n° 1444/1968 e l’art. 9, comma 5, del D.P.R. n° 327/2001.
Il 29 dicembre 2014 il gruppo politico di Forza Italia ha voluto ribadire al presidente Rossi, alla luce della decisione del Consiglio dei ministri di impugnare la legge urbanistica toscana, di “revocare il piano del paesaggio”, in quanto la legge impugnata “investe anche i temi del piano del paesaggio e quindi, una volta approvato definitivamente, anche il piano del paesaggio è a rischio impugnativa”.
Il coordinatore regionale azzurro Massimo Parisi, il capogruppo in Consiglio della Toscana Giovanni Santini e il consigliere regionale Nicola Nascosti, hanno annunciato di voler dare battaglia contro il piano “fino all’ostruzionismo se necessario”, definendo il piano paesaggistico un “blocca Toscana”.
Massimo Parisi
Giovanni Santini
Nicola Nascosti
Riguardo a questo Rossi risponde che “il legame del ricorso annunciato dal governo con il piano del paesaggio è logicamente indimostrabile e di nessun rilievo, frutto solo della strumentalizzazione politica che si è voluta fare di questa importante delibera della legge regionale sulla quale si è avuta, dopo un intenso lavoro di confronto, piena convergenza con il mondo agricolo”.
“Rispetto poi agli articoli 207 e 208, pare – prosegue – che la critica riguardi la previsione di sanzioni per alcune tipologie di abuso antecedenti il 1967 che, a giudizio del governo, dovrebbero essere sempre demoliti, mentre per la norma regionale a dover essere abbattuti sono solo quelli per cui il Comune ravvisa un evidente contrasto con l’interesse pubblico.
Si tratta in tutta evidenza – continua il presidente – di due questioni di dettaglio che non inficiano la nostra legge urbanistica: la più rivoluzionaria che si stata fatta in Italia, stabilendo il consumo zero del territorio per nuove edificazioni”.
A nome del Comitato per la Bellezza il 31 dicembre 2014 Vittorio Emiliani ha redatto il seguente documento di protesta dal titolo “Renzi e Franceschini azzoppano legge urbanistica e piano paesaggistico toscano”.
Il governo Renzi ha impugnato nella seduta del 24 dicembre scorso la legge urbanistica regionale toscana approvata nel novembre scorso togliendo un appoggio sostanziale allo stesso piano regionale concordato col Ministero per i Beni culturali.
L’impugnativa non è causata da un eccesso di permissività come è accaduto in passato (e come la cementificazione del Paese dimostra ovunque), ma, al contrario, perché alcune norme della legge urbanistica promossa dal presidente toscano Enrico Rossi e firmata dall’assessore all’Urbanistica Anna Marson “riguardanti l’approvazione delle previsioni urbanistiche per le medie e grandi strutture di vendita, costituiscono ostacolo alla libera concorrenza”.
Inoltre le stesse violano la “competenza esclusivamente statale in materia di concorrenza di cui all’articolo 117 della Costituzione”.
Analogamente succede per altre norme edilizie contenute nella legge toscana.
Insomma, se una Regione (l’unica al momento, le altre risultano più o meno latitanti) applica il Codice per il Paesaggio co-pianificando i propri assetti col Ministero per i Beni culturali, viene prontamente “punita” perché viola il sacro principio della “libera concorrenza”.
In realtà la legge toscana prevede che i progetti per nuovi centri commerciali passino al vaglio di una conferenza dei servizi (Comuni, Città Metropolitana, ecc.) incaricata di valutarne l’impatto sul paesaggio e anche sull’economia della zona.
Il modello “americano” (negli Usa già considerato obsoleto) dei mega-centri commerciali ha già provocato, infatti, seri danni, in più parti d’Italia cementificando paesaggi intatti, intensificando una circolazione automobilistica già pesante, svuotando di piccoli negozi borghi storici spesso abitati da persone anziane, così private di servizi alla porta di casa.
La Regione Toscana si è così resa “colpevole” di non aver rispettato le misure liberalizzatrici del governo Monti e, ancor più, quelle del decreto Sblocca Italia del governo Renzi che riducono o cancellano controlli e tutele territoriali e paesaggistiche al fine di incentivare al massimo una ripresa edilizia che i più considerano illusoria e comunque pericolosamente speculativa.
Si tratta infatti di misure che cozzano in maniera frontale con la conclamata necessità di non continuare a consumare suoli liberi, agricoli o boschivi, di non procedere oltre in una impermeabilizzazione (cemento+asfalto) dei terreni che è fra le cause di fondo delle frequenti alluvioni nelle città.
La “libera concorrenza” in materia territoriale e ambientale – quella consentita dalle leggi e quella di cui l’abusivismo più sfrenato si è appropriato a danno della collettività – ha provocato disastri, ha prodotto milioni di metri quadrati di alloggi, di uffici, di capannoni vuoti, invenduti, inutilizzati.
Chi si dispone a sottoporla a controlli in nome dell’interesse generale dovrebbe essere premiato, additato ad esempio.
Invece succede il contrario.
C’è pure un risvolto politico nella questione toscana: il governatore uscente Enrico Rossi non appartiene strettamente all’area renziana; egli, ricandidatosi alla presidenza, avrebbe portato legge urbanistica e piano paesaggistico fra le operazioni-simbolo del proprio mandato, avendo contrastato l’opposizione dei cavatori delle Apuane, dei lottizzatori della costa e non solo, degli immobiliaristi, degli speculatori sui terreni agricoli, delle imprese che vogliono forzare la coltura viticola ben al di là delle zone “vocate”, ecc.
Una strategia che cozza contro quella del governo Renzi centrata al contrario sulla “liberalizzazione” e sul favore generale nei confronti dell’imprenditoria.
Eppure il governo vorrebbe incrementare il turismo.
Come?
Imbruttendo definitivamente paesaggi straordinari che sono la prima attrattiva turistica italiana?
Non si sa se il ministro competente Franceschini abbia opposto riserve ad una impugnativa oggettivamente grave, di fatto senza precedenti.
Sulla quale si dovrà pronunciare nei prossimi mesi la Corte costituzionale.
Per il Comitato per la Bellezza: Vittorio Emiliani, Desideria Pasolini dall’Onda, Vezio De Lucia, Paolo Berdini, Gaia Pallottino.
VAS concorda con il giudizio del Presidente della Regione Toscana, secondo cui le censure portate dal Consiglio dei Ministri riguardano due questioni di dettaglio che sono marginali e che non inficiano comunque le fondamenta di una legge urbanistica che per prima ha stabilito il consumo zero del territorio per nuove edificazioni.
VAS ritiene ad ogni modo che riguardo alle medie e grandi strutture di vendita l’impugnazione per presunto “ostacolo alla libera concorrenza” appare gravemente recidiva da parte di un Governo che non può non sapere che due anni fa la Corte Costituzionale gli ha già dato torto.
Appoggia conseguentemente il documento del Comitato per la Bellezza, a maggior ragione perché il 24 dicembre 2014 il Consiglio dei Ministri non ha ritenuto invece di impugnare la Legge della Regione Lazio n. 10 del 10/11/2014 concernente “Modifiche alle leggi regionali relative al governo del territorio, alle aree naturali protette regionali ed alle funzioni amministrative in materia di paesaggio”: presentava vizi di legittimità costituzionale di importanza ben maggiore, (se non altro perché già rilevati dal Governo Monti), che il 27 novembre 2014 VAS aveva chiesto di impugnare presso la Corte Costituzionale [vedi http://vasonlus.it/?p=9390] [vedi http://www.vasroma.it/vas-chiede-al-governo-di-impugnare-la-legge-sul-piano-casa-della-regione-lazio/#more-13216], ma che non sono stati presi in nessuna considerazione.
Dott. Arch. Rodolfo Bosi
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