Questa settimana il prossimo 17 giugno si “dovrebbe” celebrare la giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità.
E’ una ricorrenza delle Nazioni Unite con lo scopo di promuovere la consapevolezza pubblica degli sforzi per combattere la desertificazione e gli effetti della siccità.
Secondo uno studio internazionale dal titolo “Il comportamento resiliente dei paesaggi complessi semi-aridi mediterranei”, pubblicato sulla rivista scientifica Land e condotto dal Desert Research Institute di Las Vegas, oltre il 25% della popolazione mondiale è a rischio a causa delle crescenti pressioni esterne dovute alle attività umane ed al cambiamento climatico che aggraveranno ulteriormente la desertificazione.
Si tratta di una problematica facilmente riconoscibile anche in Italia, specialmente in Puglia, Sicilia e Sardegna: i suoli del dell’area del Mediterraneo sono relativamente recenti in termini geologici e altamente vulnerabili all’azione del vento e delle piogge torrenziali.
Elementi che, quando si aggiungono a lunghi periodi di pascolo eccessivo, deforestazione e incendi, possono incidere sul degrado irreparabile del paesaggio, della vegetazione e del suolo.
Ecco che oggi abbiamo un’unica risposta come ambientalisti: oggi dobbiamo dire che il diritto all’acqua e dunque alla vita lo renderemo possibile solo con un’economia che lavora per la natura, non contro.
Riflettere sul ciclo dell’acqua vuol dire affermare dei diritti che, ambiente ed economia sono strettamente interdipendenti, e possiamo considerarli quasi un’unica entità.
Oggi solo l’interesse generale e I “beni comuni” consentono di avere una visione di futuro su cui costruire un dialogo per una transizione convergente al bene di tutti, alla pace e alla cooperazione.
Allora passiamo ai numeri dell’ACQUA del nostro li riprendiamo dai rapporti Istat (Bes 2020 – SDGs 2020 – statistiche sull’acqua 2020):
– 8,6% delle famiglie lamentano l’irregolarità del servizio idrico;
– 29% è la quota delle famiglie che non si fida a bere l’acqua del rubinetto (in miglioramento: era il 40% nel 2002);
– 42% la dispersione dalle reti idriche (37,3% dai comuni capoluogo) – in peggioramento, nel 2008 erano al 32,1%;
– 60% circa è la quota dei carichi inquinanti confluiti in impianti secondari o avanzati rispetto ai carichi complessivi urbani generati;
– 40 Comuni senza allaccio alla rete fognaria comunale;
– 93,5% delle acque marine monitorate (pari al 67,3% del totale della zona costiera) hanno una qualità eccellente – 32,1% hanno divieto permanente di utilizzo a fini balneari.
È dunque assolutamente urgente che la dispersione dalla reti idriche sia portata entro limiti fisiologici (dal 42% ad almeno il 10%) e che il 100% delle acque sia adeguatamente depurato rispettando i limiti delle direttive europee.